RE/SISTERS


Questo documentario nasce in risposta al primo, R/esistenze, sulle donne partigiane in Italia, una specie di passaggio della staffetta. Il primo l’ho perso e per poco non ho perso anche questo, rimasto in esposizione solo un paio di settimane, in una stanza del Museo della Resistenza dove il personale quando vedeva un visitatore veniva ad accendere il video – dalla pessima risoluzione audio.


Primi istanti di spaesamento. Ma se si riesce a mettere da parte l’insofferenza per gli obsoleti giochi di parole da femminista inacidita (uno per tutti, il titolo) e l’allestimento fai-da-te, la mostra ha davvero molto da dire. O da suggerire.


Alle pareti sono appesi ritratti fotografici di donne che hanno lottato, stanno lottando, non per ideali astratti ma per problemi concreti con cui si scontrano ogni giorno. Guerra, disagi sociali, ecologici, religiosi, silenzi politici, discriminazione sessuale. Conoscevo alcune di loro, spesso solo i loro nomi, come la fisica Vandana Shiva, sostenitrice dell’ecofemminismo, che sapevo autrice di Monocolture della mente ma di cui ignoravo le lotte per la salvaguardia ambientale e dei saperi tradizionali indiani e la battaglia ancora aperta contro l’introduzione degli OGM in India.

Sapevo che le madri dei desaparecidos argentini si erano costituite in associazione, Madres de Plaza de Mayo, ma non sapevo davvero quale fosse il loro ordine del giorno. E sono rimasta colpita. Dai volti segnati di queste donne semplici, madri qualunque, che di fronte al dolore lacerante del rapimento, tortura e cancellazione dell’esistenza dei loro figli, hanno trovato la forza per combattere il silenzio e sfilare ogni settimana, dal 30 aprile 1977, di fronte alla Casa Rosada nonostante l'omertà di chi sapeva, le intimidazioni ricevute e il rapimento e poi l’omicidio di tre fondatrici. In questi trent’anni le madres non si sono mai fermate e hanno aperto un caffé letterario, una biblioteca, una università cooperativa, una videoteca, una casa editrice, e ora anche una stazione radio. Hanno visto riconosciuta la loro tragedia con ammissioni politiche e da mobilitazioni internazionali. Dicono che sono stati i loro figli, che non avevano paura di far sentire le loro voci, a farle rinascere.

Aminattou Haidar viene da un’altra parte del mondo, è sposata e ha due figli. Aminattou Haidar è il simbolo della lotta per la difesa dei diritti umani nei territori occupati del Sahara occidentale, violate dalle forze marocchine. Aminattou Haidar per la sua protesta pacifica ha subito incarcerazioni e torture. L’ultima volta, il 17 giugno 2005, è stata prelevata dall’ospedale dove le stavano medicando le ferite inferte dalla polizia marocchina durante una manifestazione pacifica a El Ayoun. In commissariato è stata sottoposta a tre giorni di interrogatori, in isolamento, senza cibo né medicinali, poi è stata trasferita nel Carcel Negro di El Ayoun da dove è uscita sette mesi dopo per riprendere il suo attivismo a favore dei diritti umani e del Sahrawi.


Questa galleria di ritratti, ognuno con una storia drammatica alle spalle e ognuno sorretto da determinazione e coraggio è e deve rimanere il volto non di eroi o eroine, ma di persone comuni, per cui farsi delle domande e trovare delle risposte è un processo normale, quotidiano.
Se penso all’Italia in cui viviamo non posso non avvertire ancora più forte quella fitta amara, di dolore e disgusto per una classe politica che fa il buono e il cattivo tempo e le cui magagne vengono programmaticamente coperte da scuse così incredibili da risultare offensive per l’intelligenza dell’ultimo dei cittadini. E nessuno si indigna. Molte di queste donne vengono da paesi in via di sviluppo, spesso non hanno potuto accedere ad un’istruzione avanzata. Noi abbiamo lauree e master alle spalle che ci dovrebbero aver dato gli strumenti culturali per comprendere il nostro tempo e acquisire quella perla rara che è il senso critico. E per cosa?


Dove
Museo del Risorgimento e della Resistenza
Corso Ercole I d'Este, 19
Ferrara

Admission
Free

RICHARD ROGERS + ARCHITECTS
From the House to the City
24 aprile – 25 agosto
Design Museum - London


Richard Rogers con il suo design modernista e funzionale e le numerose collaborazioni con i più grandi architetti del Novecento ha lasciato una traccia profonda nella storia dell’architettura britannica e mondiale. Al Design Museum sono in mostra suoi progetti sulla carta e in modellino, a volte realizzati, a volte no, di edifici e complessi architettonici, raccolti attorno ad una serie di temi: Public, Systems, Transparent, Legible, Urban, Lightweight, Green. Il risultato è una mostra dinamica, interattiva e divertente, anche per i non addetti ai lavori.

La prima ad essere proposta è la Zip Up House (1968-71), una casa prefabbricata a forma di parallelepipedo, veloce da assemblare con muri realizzati con pannelli comunemente utilizzati per i camion-frigo (e quindi già prodotti per il grande mercato) e con le stesse finestre a prova di spiffero normalmente destinate agli autobus.
Richard Rogers e la moglie Su volevano ottenere una casa che potesse essere modificata facilmente e che potesse adattarsi, con tempi e costi minimi, alle mutevoli esigenze dei suoi abitanti. Data l’abolizione di muri fissi in favore di pannelli mobili, la casa poteva essere acquistata in kit, con la possibilità di aggiungere moduli ai preesistenti. Oltre ad essere innovativo e funzionale, questo progetto rinnova il dialogo tra uomo e ambiente poiché, non avendo la Zip House bisogno di fondamenta ma poggiando su sostegni di ferro, poteva essere costruita nel posticino dei sogni di ciascuno.


Alla fine degli anni Sessanta inizia con Renzo Piano inizia una collaborazione che porterà alla fondazione di uno studio ”Piano & Rogers” e alla costruzione di quello che è stato definito il manifesto dell’architettura high-tech, il Centre Georges Pompidou a Parigi [nella mostra alla sezione Public]. Nato ex-novo sul sito di un parcheggio, il Centre intendeva riqualificare una zona poco vissuta della città ponendosi come un’istituzione culturale innovativa, dedicata all’arte moderna ma ospitante una videoteca e una biblioteca di musica, design e cinema.

Nell’area della mostra chiamata Lightweight viene esposto il progetto di un’altra opera colossale divenuta un simbolo di un’altra capitale: il Millennium Dome a Londra. Con questo progetto, Rogers non intendeva costruire un edificio che fosse per sempre ma quasi piegando il suo progetto alla mobilità e alla “temporaneità” della vita nel terzo millennio, ha realizzato il suo Dome pensando alla leggerezza, all’economia e alla velocità di costruzione, garantendone la sopravvivenza per soli 25 anni. La monumentale resistenza nel tempo diventa obsoleta mentre la grandiosità a poco prezzo prende le vesti, anche in architettura, dei tempi accorciati e precari del capitalismo di oggi.



Not to miss: lo Shangai Masterplan, progettato per un concorso per la riqualificazione della zona Lu Jia Zui di Shangai e presente al Design Museum come un modellino le cui differenzi aree si illuminanto seguendo il movimento del sole. Nelle ore mattutine si colorano gli uffici, nel pomeriggio i negozi, poi i parchi, la sera i ristoranti e la notte le abitazioni, il tutto in pieno rispetto di ambiente e sostenibilità. Non si vede la malavita..


Quando
dal 24 aprile al 25 agosto 2008

Dove
Design Museum
London

Admission
£10

THE AMERICAN SCENE
fino al 7 settembre 2008

British Museum


L’aria di cambiamenti sociali, politici e culturali che ha percorso l'America del Novecento si lascia respirare e rivivere attraverso le stampe dei maggiori incisori americani del secolo, cominciando da John Sloan e l'Ashcan School di New York e terminando con l'espressionismo astratto di Jackson Pollock.
E’ il realismo urbano di Sloan ad aprire la mostra con una serie di stampe su una New York dimenticata, di quando nei finesettimana i tetti dei grattacieli si affollavano di inquilini che, distesi su teli e lenzuola, prendevano il sole (Sunbathes on the Roof; Roofs, Summer Night, 1906).

Gli edifici comuni, quelli che non si degnano di uno sguardo sulla strada per il lavoro, diventano il soggetto di tante stampe di Lawrence Kaupferman. Il ribaltamento della prospettiva è curioso. I caseggiati e gli edifici ignorati giorno dopo giorno diventano i protagonisti delle stampe di Kaupferman riacquistando la solida solennità di quanto era già lì prima che nascessi e ci sarà ancora quando avrai terminato il tuo tempo sulla terra. Le presenze umane sono rare nei suoi lavori e, ai margini della scena, non sono mai nulla più che comparse (Boston Street).


Le incisioni di Edward Hopper e Martin Lewis offrono un punto di vista diverso ancora e vogliono ricreare il filo di tensione che avvolge i soggetti un attimo prima o un attimo dopo il verificarsi di un evento. L’introspezione psicologica, il turbamento, sono resi attraverso un sapiente utilizzo della luce e dei contrasti tra zone di completa oscurità e altre fortemente illuminate. (M. Lewis, Little Penthouse, 1931)


E poi il modernismo, la Depressione, l'industrializzazione, la Seconda Guerra Mondiale. Un ciclone sull’America. Sempre più persone abbandonano le grandi città per trovare sostentamento nelle campagne. Thomas Hart Bentos, maestro di Jackson Pollock, documenta questo momento mettendo la propria arte al servizio di importanti questioni sociali. La disoccupazione in crescita vertigionosa, i braccianti che dopo aver compiuto tragitti di miglia e miglia in cerca di lavoro cadevano stremati, nelle gelide notti, nei campi, senza alcun riparo.

Adolf Dehn offre un’immagine dell’America degli anni Trenta diversa ancora. E’ un’America, che suona Jazz e che balla e si scatena nei locali di Haarlem. Coppie di colore si ritrovano nei locali dove si suona questo nuovo genere musicale che porta in se lontane eco di una terra lontana, la malinconia per il duro quotidiano ma anche la sorridente leggerezza di una danza a ginocchia piegate, come in The Swing dance bands.

not to miss: il tocco glamour di Martin Lewis che immortala una mattina in una delle strade principali di Londra, probabilmente Oxford Street in cui, illuminate dal sole nascente, un piccolo esercito di donne elegantissime nei loro cappotti dai colli di pelliccia cammina velocemente verso i department store dove lavorano. (Quarter of Nine, Saturday’s children, 1929).


Quando
fino al 7 settembre 2008

Dove
British Museum
London

Admission
Free

KEW GARDENS
Kew
London



"Giardino botanico" ha un suono davvero poco accattivante, almeno per le mie orecchie. E alla fine un po' per via del mio scarso pollice verde un po' per il tempo inclemente, per settimane ho soffiato via il pensiero di Kew Gardens ogni volta che faceva capolino nella mia mente.


Poi ho vinto l’inerzia, ci sono andata, e ora non vedo l'ora di tornarci. Perchè Kew è un mondo a parte, a cui si accede con un biglietto e in cui si sta a tempo contato, ma rimane un meraviglioso mondo parallelo, fatto di sconfinati giardini all'inglese con erba tanto corta quanto folta e soffice, e aiuole fiorite in ogni dove.

Kew è un paradiso di 121 ettari con laghetti, cigni, scoiattoli e 7 templi in vetro (alcuni le chiamano "serre", ma il termine è assolutamente riduttivo) che ricostruiscono microclimi adatti ad ospitare flore lontane.

La Temperate House (4,880 mq.) e' la più grande struttura di vetro sopravvissuta dal periodo vittoriano. In ferro dipinto di bianco e vetro si sviluppa su due piani, con un camminamento sopraelevato che permette una insolita visione dall'alto. Qui crescono piante anche enormi, provenienti dall'America centrale (fuchsie e brugmansie ad esempio), dall'Australia e piante a rischio di estinzione, come Hibiscus iliiflorus da Rodrigues Island e Trochetiopsis erthroxylon da Sant'Elena, in attesa di essere reinserite nel loro ambiente d'origine. Orgoglio della Temperate House è la Wine palm, proveniente dal Cile che, con i suoi 16mt, è la più grande pianta cresciuta in serra- e pare non abbia alcuna intenzione di fermarsi!

Un’altra meraviglia è la Waterlily House, realizzata nel 1852 da Richard Turner, contiene una grande vasca d'acqua con diverse specie di ninfee, da quelle europee, di Monet, a quelle più grandi provenienti dall'Amazzonia. Queste sono eccezionali, raggiungono il metro di diametro e sono abbastanza robuste da sopportare il peso di un bambino!.

I giardini botanici di Kew offrono al visitatore un assaggio della straordinaria biodiversità esistente in natura in un contesto di bellezza artificiale, ma mai fastidiosa. Ogni serra, ogni zona del giardino incanta sia gli specialisti del settore che le famiglie in uscita domenicale, anzi sembra fatta proprio per i bambini la serra chiamata The Evolution House dove, in un ambiente che ospita piante preistoriche (felci ed equiseti) e' stato inserito un vulcano che sbuffa con tanto di impronte di dinosauri e capanne in legno.

Camminando tra i giardini di azalee e di rose si incontrano altri padiglioni in cui si succedono mostre, esposizioni ed eventi culturali. A fine aprile si è conclusa la Shirley Sherwood Gallery of Botanical Art, la prima mostra al mondo dedicata esclusivamente al disegno botanico in cui, accanto alla collezione privata dei Sherwood, era stata esposta per la prima volta la collezione dei Royal Botanic Gardens di Kew, stimata come una delle maggiori del mondo di arte botanica.


Not to miss:
Amorphophallus titanum
, pianta erbacea originaria dell'isola di Sumatra, conosciuta per avere la più grande infiorescenza del mondo vegetale. Nonostante il forte odore di putrefazione che emana durante i pochi giorni di fioritura, folle di curiosi accorrono a Kew per ammirare questo fenomeno che si verifica solo ogni tre-quattro anni.


Quando
tutti i giorni
estate 9.30-19.30
inverno 9.30-18.00
Dove
Kew Gardens
London

Admission
adulti £13
gratuito per giovani fino a 17 accompagnati da un adulto



FASCINATION WITH NATURE
British Museum
London
Fino al 27 settembre 2008


Una stanza di dimensioni contenute e luce soffusa ospita sete e carte dipinte da artisti cinesi con fiori, insetti e uccelli. Apparentemente omogenee e con gli stessi motivi ripetuti, in realtà diverse nella loro singolare unicità, ciascuna con un proprio significato, scoperto o nascosto. Ogni fiore, ogni elemento presente nei dipinti reca un messaggio.

Il motivo principe è il bambù, pianta che cresce rigogliosa in Cina e tradizionalmente apprezzata per la sua versatilità come materiale da costruzione e per le sue forme, esili e maestose. Il bambù nelle decorazioni simboleggia integrità morale e rettitudine – questa erba di enormi dimensioni si piega durante le tempeste, ma non si spezza.


Dal rotolo di seta Bamboo and Birds, datata 1618-1690, ho scoperto che i pittori di alto livello si specializzavano, in Cina, nella pittura di due, tre soggetti, o anche di uno solo. L'iscrizione sulla seta infatti dice che il disegno e' opera di due maestri: Zhu Sheng ha dipinto il bambù, le orchidee e le rocce mentre l'artista chiamato Dai, gli uccellini dalla testa rossi.


L'elemento simbolico nella pittura cinese è radicato a tal punto che alcuni artisti cinesi del Novecento sono tornati ai soggetti tradizionali e alla ricca simbologia che li accompagna, sperimentando tecniche e formati inedite. Ma anche i riferimenti sono stati rinnovati e se in passato i significati nascosti erano benaugurati, nel XX secolo spesso fiori frutti e insetti sottintendevano un messaggio politico.

E così anche innocenti passerotti come quelli di Huang Miazoi, Sparrows in snow, attraverso la poesia che accompagna il quadro, si traducono in un ammonimento socio-politico "il vento cambia spesso il tempo improvvisamente/ma non bisogna preoccuparsi".

Not to miss: Autumn Lotus Pond, di Yang Yanping (n. 1934). I fiori sono di un viola spento, sporco di nero e rosso ferroso, su uno sfondo grigio, timidamente lilla. Le tinte tenui ma profonde sono rese attraverso una tecnica complessa che vede il colore filtrare dal retro del foglio oppure steso con della carta stropicciata.


Quando
Fino al 27 settembre 2008

Dove
British Museum
London

Admission

Free

ANGEL ART MARKET
tutti i weekend
Angel - London


Scoperto un po' per caso (mi ha offerto riparo dall'acquazzone fuori dalla stazione di Angel), l'Angel Art Market e' un mercatino a ricorrenza settimanale dove artisti sempre diversi espongono e mettono in vendita i propri lavori.

A parte l'ingresso sotto un improvvisato tendone di plastica, l'Angel Art Market si presenta rustico ma accogliente. Sotto i piedi un parquet poco levigato e attorno nessun arredo se non le opere stesse, affastellate sugli stands, appese ai muri o in mostra su mensole precarie. Tutto a ritmo di una musica di terre lontane, un po' samba un po' caraibica che riscalda l'atmosfera e porta un raggio di sole anche nella bagnatissima Londra.


Il linea con il pianoterra, il loft al piano superiore e' scarno e spartano, con una parete divisoria un po' posticcia che taglia in due la stanza con poco convincimento e senza arrivare al soffitto. Grappoli di stands con oggetti colorati lo costeggiano e riempendo dove e' spoglio.


All'Angel Art Market si espongono lavori di fotografi e pittori, stampe e gioielli, tessuti, vetri e ceramiche. Lo scorso weekend c'erano le coloratissime stampe di Ben Quail, in cui immagini, parole e macchie di colore si accavallavano e giustapponevano. E poi le telerie e i cuscini (sia pillows, da letto che cushion, da divano) di Julie Kouamo, con un gusto spiccato per le combinazioni di colori e di fantasie.

Un angolino era dedicato a collane, anelli e altri deliziosi gingilli di metallo, legno o ceramica. In questa sezione ho visto anche delle collane veramente eye-catching fatte di pelle ritagliata in forme cirolari poi unite insieme, come a formare un medaglione. Peccato che non ci fossero biglietti da visita o cartoline sullo stand di quella ragazza mora.


Poi svoltato l'angolo, una rivelazione! le ceramiche, i cuscini e tessuti montati come quadri su suppporti in legno e appesi al muro di Nadia Sparham. Con stampe, applicazioni e rifiniture fatte a mano. Piccoli alberi neri stilizzati con accanto un uccellino nero su uno sfondo bianco ceramica. Tazze da caffe' con lo stesso motivo del piattino che li accompagna. Mugs semplici eppure non ordinarie che non ciedevano altro che acqua bollente e una bustina di tea.

Le tazze le ho lasciate, insieme ai cuscini e ad una collana color rosa tulipano. E ho sbagliato. Ma i contatti li ho tenuti.

Not to miss: le cartoline umane troppo umane di Simon che pungono con il sorriso.



Quando
Ogni sabato & domenica da Aprile
orario 11 - 18

Dove
Candid Galleries
Torrens Street
Angel
London EC1V 1NQ

Admission
Free

ANDY WARHOL –THE NEW FACTORY
16 marzo – 6 luglio

Fondazione Magnani Rocca
Mamiano di Traversetolo
Parma

Andrew Warhola, più noto come Andy Warhol è ospitato ora e per le prossime settime settimane alla Fondazione Magnani Rocca. Camminando tra le sale austere dell'esposizione permanente della Fondazione, è il canto delle sirene - Velvet Underground & Nico - a condurti all'interno di un mondo parallelo, illuminato di rosa pop.

Andy Warhol è una di quelle figure che ammiro sinceramente. Mi piacciono di lui i suoi umili natali e il fatto che non abbia rinunciato a seguire la sua cometa nonostante l'estrema ristrettezza di mezzi e la malattia che da bambino lo costrinse a letto per lunghi periodi. Mi piace che abbia continuato a credere nella sua idea demistificatrice di arte e del concetto di “pezzo unico”, considerando l’arte un prodotto, anche quando critici importanti lo definivano uno zero assoluto. Adoro la sua creatività divertente, ironica e irriverente e la versatile facilità con cui riusciva a passare dai libri di ricette impossibili, Wild Raspberries 1959, disegnati come se fossero illustrazioni per bambini, con torte giganti dai colori pastello e un breve testo, la ricetta, a lato. Apparentemente molto poco Warhol. Tutto cambia improvvisamente quando quasi per caso gli occhi si soffermano sulla ricetta, e dopo uno primo sguardo disorientato si ride del testo, assolutamente delirante ("prendete una base per sponge cake vecchia di tre settimane..").


Alcune delle opere di Warhol sono state realizzate in serigrafia con colori sgargianti, anche a dispetto del loro contenuto, spesso proveniente dal notizie di cronaca. La serie di serigrafie intitolata Electric Chair (1971) nacque dall’annuncio della pena capitale inflitta ai coniugi comunisti Julius ed Ethel Rosenberg, accusati di spionaggio a favore dell’Unione Sovietica. Questo caso colpì e spaccò l’opinione pubblica americana e mobilitò intellettuali e artisti comunisti da tutto il mondo. Warhol fu scosso dalla brutalità dell’evento e anche se l’esecuzione ebbe luogo nel 1953, lui continuò a lavorarci negli anni successivi, fino a creare questa serie serigrafica con una sedia elettrica che troneggia nella sala delle esecuzioni, vuota, di Sing Sing. Il risultato è un’opera tagliente, dai colori lividi eppure vistosi, tanto vistosi da diventare una visione scomoda, fastidiosa.


Oltre alla cronaca, anche la vita di ogni giorno, fatta di prodotti di massa che entravano nelle case degli americani, offrivano spunti interessanti. Pare che la serie dei dipinti che lo consacrarono, quelli della Campbell's Soup, fosse nata da un suggerimento apparentemente banale di un amico – perché non dipingi ciò che più ami?. E lui lo prese alla lettera consegnando all’immortalità una zuppa in lattina, che a detta sua aveva costituito il suo pranzo per la maggior parte della sua vita.


Ancora, nella mostra lunghe pareti espongono le serigrafie dei volti noti di una o due generazioni di star di Hollywood. Con colori flashanti si succedono, solo per citarne alcuni, Liz Taylor, Elvis Presley, John Lennon, Mao Zedong, Mick Jagger, Marilyn Monroe realizzato un mese dopo la notizia del suo suicidio.


E poi, nel periodo della Factory di New York (1963-68) prolifico regista di film (in quei cinque anni realizzò più di sessanta film), sempre arditi, spesso scandalosi, di sicuro innovativi.

E' stato definito "the mirror of our times” per i soggetti che sceglieva di trasformare in opere d'arte e per l'approccio con cui si poneva nei loro confronti. E a 21 anni dalla sua morte, lo è ancora, anche se forse “our times” di oggi sono meno scanzonati, più crudeli, sicuramente meno colorati.

Not to miss: la serie di album cui Andy Warhol ha curato la copertina, solo per citarne un paio: la celeberrima banana da sbucciare dell’album del Velvet Undergroung and Nico e l’ambiguo primo piano con zip in Sticky Fingers (1971) dei Rolling Stones.


Dove
Fondazione Magnani Rocca
Mamiano di Traversetolo (PR)

Quando

martedì- domenica dalle 10 alle 18
chiuso il lunedì



Admission
Intero £8

studenti in visita £4
FROM RUSSIA
26 gennaio - 18 aprile
London

Gli impressionisti hanno davvero fatto storia. I loro nomi sono pronunciati con ammirazione anche da chi di arte non si intende, ma che rimane folgorato dal giallo dei Girasoli e dalla tenue fragilità delle Ninfee.

Delle influenze che questo movimento rivoluzionario ha generato non solo in Francia ma nel resto del mondo e in questo caso particolare in Russia, si parla davvero poco.Della Russia di inizio secolo si ricorda la Rivoluzione di Febbraio e poi quella d’ Ottobre, il rovesciamento del regime zarista, eventi così formidabili da lasciare poco spazio alle trasformazioni culturali. E invece in Russia tra fine Ottocento-inizio Nove erano in molti a guardare verso Occidente e ai nuovi movimenti artistici, sia con occhi di collezionisti, che di pittori.

I primi sentori di rinnovamento vennero ancora prima, negli anni Sessanta dell’Ottocento, quando un gruppo di artisti di San Pietroburgo decise di emanciparsi dall’Accademia Imperiale d’Arte, fondarono la società poi conosciuta come The Wanderers. Essi rifiutavano i soggetti biblici e mitologici provenienti dall’arte italiana per introdurre piuttosto scene di vita quotidiana e istantanee della società russa loro contemporanea, come Ilya Repin che dipinse October,17 1905 e Leo Tolstoj a piedi nudi.

Trent’anni più tardi i moscoviti Sergei Shchukin e Ivan Morozow costituirono, nel giro di quindici anni, due tra le maggiori collezioni di arte francese. In particolar modo Shchukin divenne il mecenate di Matisse, di cui comprò molte opere e a cui commissionò tele di grandi dimensioni, come La Danza. Dal 1909 questi due musei privati furono aperti al pubblico e gli artisti russi che non avevano la possibilità di formarsi nello spirito parigino potevano comunque conoscere i lavori degli artisti francesi attraverso queste collezioni.

Questa mostra è semplicemente meravigliosa. E non escludo di tornare a rivederla prossimamente. La considero una espoizione eccezionale perché raccoglie autori e opere topograficamente lontani, appartenenti con trascorsi storici differenti, li accosta facendo di ciascuno il testimone di una corrente particolare, senza mai annullarli ma anzi inserendoli all’interno di un disegno culturalmente raffinato. Gauguin, Matisse, Chagall, Van Gogh, Cezanne, Corot, Repin, Mashkov, Altman, Golovin, sono tutti qui.

Not to miss: Ida Rubinstein la famosa ballerina russa che aveva calcato le scene con la compagnia Ballets Russes di Diaghilev, qui ritratta da Valentin Serov in un nudo di spalle. Il volto girato per tre quarti, il corpo flessuoso e spigoloso allo stesso tempo. Lo sguardo intenso e concentrato come se fosse di scena.

CAMDEN TOWN GROUP
13 Febbraio - 5 Maggio
Tate Britain
London

Il Camden Town Group nacque nel 1911 e si sviluppò in un momento intenso della storia inglese. Il nuovo secolo portò un'ondata di cambiamenti: a livello sociale con le incontenibili suffragette che richiedevano a gran voce il diritto di voto e la parità dei sessi; nel tessuto urbano con la modernizzazione dei trasporti che, nel giro di pochi anni, cambiò il volto di Londra. Carrozze e trasporti pubblici tirati da cavalli scomparirono rapidamente (nel 1914 c'erano solo 1200 cocchi in tutta Londra) per lasciare posto ai primi autobus, alle automobili e a uno dei simboli della capitale Britannica, la metropolitana.

Gli artisti del Camden Town Group si posero come testimoni di questi cambiamenti e fecero di Londra il teatro dei loro dipinti. I colori sgargianti di una citta' in movimento (Piccadilly Circus, Charles Ginner, 1912), le pennellate dense e compatte richiamano da vicino l'influenza del post impressionismo francese. Di Van Gogh nei colori e nel tratto, di Gauguin nelle tinte della tavolozza, di Degas nella scelta di inquadrature insolite, evidente in Gauguins and Connoisseurs at the Stattford Gallery di Spencer Gore o in The Naked and the Nude di Walter Richard Sickert. In questa tela del 1910 e' ritratta una giovane di cui vediamo il corpo nudo piegato, come se se fosse impegnata in un’attività quotidiana quanto privata, ma non il volto. Il taglio scelto, il soggetto che compare attraverso una porta lasciata aperta come per caso, danno allo spettatore uno spiccato senso voyeuristico.

Questa mostra mi ha divertito, ma non appassionato. Se la ripresa dello stile dei post impressionisti inizialmente mi intrigava, ha finito presto per stancarmi. Mi sembrava che il loro fosse un dipingere alla maniera di, ma senza aggiungere nulla di personale dal punto di vista stilistico. Un po’ come se si trattasse di inglesi travestiti da francesi.

Cambiando prospettiva, tuttavia, le opere del Camden Town Group diventano invece molto interessanti se si guarda a loro come testimoni di un’epoca. Le vedute di Londra immortalate nelle loro tele mostrano una città così diversa da far stringere il cuore e riportare il pensiero ad un passato che, seppur così lontano, è appena dietro l’angolo.


Not to miss: In the Cinema di Malcolm Drummond e i volti dei Londinesi al buio, concentrati sulla pellicola.


Tate Britain
Tube: Pimlico

Orari
Tutti i giorni dalle 10 alle 18




CRANACH
Royal Academy of Arts

London

8 marzo – 8 giugno


Lucas Cranach il Vecchio, insieme a Dürer, è stato una delle maggiori personalità del Rinascimento Tedesco. E io lo trovo assolutamente affascinante.

Saranno i suoi nudi femminili, dai corpi allungati, di una grazia scomoda, poco levigata, tedesca ma al contempo intrigante, come Venus con occhi quasi a mandorla e lo sguardo accattivante. Pericoloso potere seduttore della donna.


I contatti tra i due maestri tedeschi sono provati e i rimandi a Dürer sono evidenti sia nei lavori incisori di Cranach che nei dipinti. L’esempio più noto è la Melancholia a cui entrambi hanno cercato di dare un volto. Cranach ha dato a questo strano turbamento dell’essere le fattezze di una giovane donna e l’ha inserito all’interno della nascente iconografia protestante, rendendolo un’opera a sé stante rispetto al precedente di Dürer. La misura della distanza esistente tra le due opere è data dal gruppo di streghe che irrompono e impazzano nella parte sinistra del quadro spezzando irrimediabilmente la pensosa staticità di spazio e tempo. L’inattività dettata dallo stato melanconico era inaccettabile per lo spirito protestante che aleggiava della Germania sassone del primo Cinquecento e Cranach, amico personale di Lutero e seguace della nuova fede, espresse in modo inequivocabile questa condanna.

Di Cranach mi affascina la lealtà dimostrata all’Elettore di Sassonia, suo mecenate, seguito nell’esilio e al contempo l’indipendenza spregiudicata della sua professione. Il suo legame personale con Lutero, suggellato anche da atti formali- il pittore fu il testimone di nozze del riformatore tedesco e padrino del suo primo figlio- non gli impedì di accettare commissioni dal maggiore antagonista di Lutero, il cardinale Albrecht di Brandenburgo, il più importante uomo di Chiesa del Sacro Romano Impero, per il quale realizzò una serie di ritratti.

L’opera di Lucas Cranach rimane tuttavia fortemente legata allo spirito della Riforma. Lavorando attivamente alla diffusione dei suoi temi e soggetti, diede una forte spinta alla creazione di una vera e propria iconografia per questa fede di rottura, il cui rapporto ambiguo con l’arte correva sul filo dell’iconoclastia. Alcuni dei suoi dipinti erano a sfondo moraleggiante, ma privi di pesantezza e anzi ricchi di quella ventata di rinnovamento che la Riforma aveva portato in tutta Europa. A sostegno del credo luterano Cranach dipinse il grottesco in una serie di quadri sui matrimoni male assortiti, e la duplicità della donna vista come esempio di fedeltà assoluta, come Lucrezia o come diavolo tentatore, come la Venus riccamente agghindata a cui accennavo prima.


La figura di questo pittore è ricca e interessante nel panorama del Cinquecento tedesco, di Wittemberg epicentro della Riforma ma non solo. La fama della sue abilità come ritrattista varcò le soglie della corte e si diffuse rapidamente in tutta la Germania.


Assolutamente meravigliosi i paesaggi che fanno da sfondo a molti suoi dipinti. Ricordano Dürer e i fiamminghi per la ricchezza di particolari, senza però risultare una mera somma di dettagli, ma mantenendo una visione d’insieme e un equilibrio da maestro.

Not to miss: 1526, Adamo ed Eva, lei che con una mano abbassa il ramo e con l'altra porge il frutto proibito, guardando Adamo con uno sguardo seducente, lui con una mano sulla mela, con l'altra posata sulla testa, incerto. Si vorrebbe fidare della sua compagna ma allo stesso tempo il sentore di pericolo è forte. E sappiamo tutti come andò a finire.

Curiosità: Il quadro Cupido che si lamenta con Venere faceva parte della collezione privata di Hitler. Ora la National Gallery ha lanciato un appello a chiunque abbia informazioni per ricostruire la storia e la proprietà dell'opera.


Royal Academy of Arts
Burlington House
Piccadilly
London W1J 0BD

Orari
Tutti i giorni dalle10 alle 18
Venerdì dale 10 alle 22

TUTTI PAZZI PER BANKSY
fino al 29 marzo
The Andipa Gallery
London


Chi lo sa che faccia ha, chissà chi è, tutti sanno che sia chiama..Banksy. Lui, che segna le strade di Londra, Bristol, New York e Sidney con graffiti dai tratti fini, realizzati con stencil di grandi dimensioni. I lavori di Banksy sono acute satire a sfondo politico (è anti-bellico e anti-capitalista), culturale ed etico.

Spesso ritrae poliziotti (persi in un appassionato bacio omosessuale, terrificanti mentre con uno smiley al posto del viso, sotto il casco, brandiscono un manganello e si fanno avanti quasi pregustassero il gusto dell’assalto) e soldati in guerra. Vederseli di fronte fotografati in un’ immagine di ordinaria violenza, anche solo accennata dai tratti crudi ed essenziali di stencil e bomboletta, fa davvero balzare agli occhi l’inutilità di quelle morti e quel sangue. E’ curioso come siamo ormai completamente anestetizzati di fronte ad immagini di brutalità inaudita passate alla televisione, mentre ancora ci fanno venire i brividi le stesse scene, solo presentate in un altro modo e magari viste in una galleria piuttosto che al solito telegiornale.

Anche ratti e il mondo animale (un elefante che trasporta una bomba sulla schiena), trovano spazio nei suoi graffiti. E bambini che se a volte sembrano trionfare sulla morte e sulle armi, altre sembrano solo spaesati, troppo piccoli per agire e non subire i giochi dei grandi. Alcune immagini sono accompagnate da una frase, ma la maggior parte esprimono il proprio messaggio nel linguaggio non-verbale, crudo e insieme ironico di Banksy.

Il successo che le sue opere hanno avuto e’ stato enorme, e ora sono contese e vendute in aste milionarie. Addirittura, nel febbraio 2007, avendo messo in vendita una casa sul cui muro era passato Banksy, ed essendo venuti a conoscenza dell’intenzione dei nuovi proprietari di rimuovere I murali, una coppia di Bristol ha girato l’offerta d’acquisto ad una galleria d’arte. Il pezzo e’ stato venduto come un murale con una casa attaccata.

The Andipa Gallery espone in questi giorni i suoi lavori anche lei, curiosamente, nelle sue due sedi, al 19 e al 162 di Walton Street, a Chelsea (con file chilometriche e buttafuori!). Pare che Banksy non gradisca molto iniziative del genere. A questo proposito riporto le sue parole che oltre alla sua opinione a riguardo danno un’idea della sua personalità critica.
What's with all the gallery shows?
None of the print and painting exhibitions in proper art galleries are anything to do with me, it's all stuff they bought previously. I only ever mount shows in warehouses or war zones or places full of live animals (I'm aware the pictures don't stand up on their own).


Not to miss: Mickey Mouse e McDonald mostri sorridenti che tengono per mano Phan Thi Kim Phúc, la bambina vietnamita protagonista di Vietnam Napalm foto di Nick Ut, vincitrice del Pulitzer 1972.


The Andipa Gallery

19 e 162 Walton Street
London SW3 2JL
Tube

Orari
lunedì - sabato dalle 11 alle 18
Chiuso la domenica

Ingresso
Gratuito

SLEEPING & DREAMING
WAKE UP SLEEPY HEAD
29 novembre - 9 marzo
Wellcome Collection
London


“Passiamo un terzo della nostra vita dormendo” e per me quel terzo è fondamentale. Scandisce l’attività di tutta la giornata, e anche il buon umore.

Al buio si sprigiona la creatività, ma anche gli incubi peggiori. Una notte del 1713 il violinista Giuseppe Tartini sognò di stringere un patto con il diavolo, quasi per gioco gli offrì il suo violino e il diavolo gli suonò la melodia più emozionante e complessa che avesse mai udito. Si svegliò e preso il violino tentò di ricrearla, non riuscendoci passò poi anni nel tentativo di riafferrare quel ricordo di una notte. Per Goya le tenebre significavano il sonno della ragione e il prender vita dalla mente umana di spaventosi mostri.

Before you slip into unconsciousness.. cantavano i Doors, ma quello strano stato in cui si cade la sera, si può davvero chiamare incoscienza? E, ancora, si può vivere senza dormire? Negli anni Cinquanta il disc jockey newyorkese Peter Tripp ha sfidato ogni legge naturale e, continuando a condurre il suo programma alla radio, ha battuto ogni record di veglia consecutiva: 201 ore. 8 giorni e mezzo. Pare che lo stato di allucinazione causato dalla prolungata mancanza di sonno l’avesse portato ad una crescente aggressività e paranoia, tanto che si ritiene che la china discendente presa successivamente dalla sua carriera sia dovuta anche agli effetti collaterali di quell’esperimento.

Come si vede alla Wellcome Collection,
questa domanda è riemersa in ogni momento della storia dell’uomo e si è imposta come quesito fondamentale negli ultimi cento anni. Il mito dell’uomo virile che non ha bisogno come gli altri esseri umani sembra infatti riemerge in momenti diversi durante il Novecento. Un manifesto degli anni Trenta, della Repubblica di Weimar mostra un uomo dormiente, tormentato da un diavolo verde che, arrabbiatissimo, gli punta il dito contro e con l’altro indica veementemente la montagna di lavoro da fare. Un’altra immagine pubblicitaria uscita sul numero di marzo 1923 di “Science and invention”, meno violenta ma pur sempre inquietante, mostra un direttore di giornale comodamente seduto sul una poltrona da ufficio, circondato da un fascio di corrente elettrica e con un tubicino alla mano che a una prima occhiata sembrava una sigaretta. Un grande orologio segna le tre del mattino. Giustamente ricaricato di energia elettrica e con una corretta ossigenazione il bravo caporedattore può tranquillamente lavorare tutta la notte.

Sorridevo mentre guardavo la copertina di questa rivista scientifica pensando a quanto fossero ingenui gli uomini degli anni Venti. Poi sono tornata a casa e ho aperto il giornale online: Berlusconi dopo una notte dedicata alla definizione delle liste commenta "Non ho toccato il letto" e sale sul palco del Pala Lido per stracciare, in un accesso di onnipotenza, il programma del Pd. Ricorda fin troppo da vicino il detto “il duce non dorme mai”. Questo mito dell’uomo straordinariamente dotato, che riesce a vincere la lotta che tutti gli altri uomini perdono ogni giorno –la necessità del sonno- continua ad essere riproposta nella sua, ormai lo possiamo dire, imbarazzante ingenuità. Prima di agire in modo sconsiderato sarebbe meglio dormirci su. La notte porta consiglio, pare.

Not to miss: sleeping e dreaming dei Londinesi che durante i bombardamenti di Londra durante la seconda guerra mondiale cercavano rifugio tra i binari della metropolitana, chiusi per l’emergenza, tra Aldwich e Holborn.


Wellcome Collection
183 Euston Road
NW1 2BE
Tube: Euston, St. Pancras, King's Cross


Orari di apertura
martedì - domenica dalle 10 alle 18
giovedì dalle 10 alle 20

Ingresso
Gratuito
Chiuso il lunedì

DEUTSCHE BÖRSE PHOTOGRAPHY PRIZE
8 febbraio - 6 aprile 2008
The Photographers’ Gallery
London


The Photographers’ Gallery ha una location fantastica e una curiosa planimetria. La galleria e’ al numero 5 di Great Newport Street, ma anche al nr.8. I due edifici non comunicano tra loro ma sono vicini e ospitano le stesse mostre, metà di qua e metà di là. In questi giorni ci sono i lavori dei quattro finalisti del Deutsche Börse Photography Prize che viene assegnato annualmente al professionista che, durante l’anno precedente, ha dato un contributo maggiore alla fotografia. Quest’anno i finalisti sono John Davies (UK), Jacob Holdt (Danimarca), Esko Männikkö (Finlandia) e Fazal Sheikh (USA).

Se dovessi stilare una classifica personale, incoronerei John Davies e Jacob Holdt, a parimerito.
Davis espone fotografie di grande formato, molte in bianco e nero, scattate per lo più tra il 1979 e il 2005. I soggetti su cui torna sono i panorami britannici, città o spazi aperti, alcuni abitati altri deserti. Luoghi apparentemente dimenticati, ma che portano nella loro topografia i segni di una storia recente, industriale e post-industriale inquadrata in brevi testi a lato delle foto.


Anche Jacob Holdt racconta una storia, quella delle minoranze di colore nella grande America, e lo fa attraverso una scelta tra le …mila foto che ha fatto in cinque anni, ora proiettate su un muro, tutte scattate durante un viaggio da autostoppista nei primi anni Settanta. Gli scatti di Holdt rimangono impressi per la loro intimita’. E’ riuscito a ricostruire il calore e la passione tra una coppia di ragazzi afroamericani in una casa disadorna, la cieca fiducia nella protezione dei fucili di una famiglia borghese bianca e l’assoluto degrado delle fasce più basse della società. Holdt e’ riuscito a cogliere l’essenza della società americana degli anni Settanta, con le sue passioni e le sue contraddizioni, intendendo la fotografia come un mezzo per far conoscere l’estrema ingiustizia sociale e razziale che aveva incontrato nel suo cammino.


La denuncia di Fazal Sheik tocca invece una parte ben definita della popolazione indiana contemporanea: le donne. Sono i volti di queste, bambine, mature, che fissano l’obiettivo o che ne rifuggono posando di spalle. Hanno tutte vissuto drammatici episodi di violenza inaudita, in un paese dove la loro vita non conta nulla e dove l’ecografia viene usata solo per scoprire in anticipo il sesso del nascituro e per provvedere tempestivamente all’aborto in caso risulti femmina. Le storie raccontate nei testi accanto alle foto sono tuttavia così dolorose che finiscono per assorbire tutta l’attenzione, mettendo in netto secondo piano le foto stesse.


Completamente diversa è l’attitudine fotografica di Esko Männikkö, che da cacciatore è diventato fotografo negli anni Ottanta. Nei suoi lavori porta con sé il ricordo degli spazi aperti, e del silenzioso isolamento in cui vivono uomini e animali in certe zone tra Lapponia e Finlandia. “I’m a photographer of fish, dogs and old men:” ha detto una volta.


Not to miss: Agecroft Power Station, Salford (Davis 1983), una centrale di carbone del 1925, poi chiusa. Ora lo stesso luogo è occupato dalla HM Prison Forest Bank per detenuti di 18-20 anni, che nella foto giocano a calcio mentre le loro figure, minuscole davanti all’immensità della centrale, si perdono in un paesaggio lunare.


The Photographers’ Gallery
5 & 8 Great Newport Street
London WC2H 7HY
Tube: Leicester Square

Orari di apertura
Lunedì – Sabato dalle 11:00 alle18:00
Giovedì dalle 11:00 alle 20:00
Domenica dalle 12:00 alle 18:00

Ingresso
Ingresso gratuito

COLAZIONE ALLA TATE


Non so se siete mai riusciti a fermarvi a Londra abbastanza a lungo per godere a pieno del privilegio di entrare alla Tate Modern, ma solo per una mezzora, il tempo di vedere un Rothko e poi continuare la passeggiata sul Tamigi. Io mi ci sono abituata così in fretta che penso farò fatica a farne a meno.

La tradizione del libero accesso alla cultura è lunga in Gran Bretagna. I più antichi musei (la National Gallery, il British Museum, la Tate Britain) erano stati aperti, tra Sette e Ottocento e poi in epoca vittoriana, al fine di contenere e conservare i tesori che appartenevano ai cittadini, permettendo loro di goderne ogni volta che lo desiderassero. Troppo bello per passare incolume i giorni bui della storia. Un giro di vite è infatti stato dato dalla Lady di Ferro che impose a molti musei l’introduzione di un biglietto, iniziativa che ebbe pesanti ricadute sul numero dei visitatori. L’uomo della svolta è stato Tony Blair che prima di imbarcarsi in politiche discutibili, ha fatto in tempo a riaprire i musei ad una folla non pagante. La proposta era: abolizione del biglietto per le collezioni permanenti in cambio di sgravi fiscali e supporto statale in caso di spese importanti. E ha funzionato. Oggi la maggior parte dei musei è ad ingresso gratuito, insieme ad una costellazione di gallerie e spazi espositivi. E tutti ben lungi dalla bancarotta. La Tate Modern nonostante gli astronomici costi di ristrutturazione, ha un bilancio in attivo che le permette frequenti nuove acquisizioni.

Allora c'è un trucco?
Di più, ce ne sono tre:
il mantenimento del biglietto per le mostre temporanee, la presenza di un fornito bookshop e l’apertura di adorabili Cafè e Tearooms, in ambienti luminosi, arredati in sintonia con lo stile del museo in cui sono inseriti, ma sempre con gusto. Circondati da un sereno chiacchiericcio, si può sorseggiare un tè accompagnandolo da un muffin ai mirtilli, o da una fetta di quelle squisite torte tanto amate dagli inglesi. Nei musei più grandi, come il British o il Victoria & Albert si può addirittura avere un pasto completo, un pranzetto domenicale un po’ diverso dal solito. Ci si ritempra dallo stare in piedi della mostra, si ripercorrono mentalmente (e dolcemente) le opere viste, per poi rimettersi in cammino. Per concludere, l’idea è buona.

Le strategie per aumentare la familiarità con arte, musei e quant’altro esistono e sono già state rodate. Sarebbe bello che anche i musei italiani si scuotessero di dosso quella patina di noia polverosa che a volte li circonda per ridiventare luoghi da vivere, aperti al pubblico nel vero senso della parola.



LIBERTY OF LONDON
London

Liberty non è un museo, ma come un museo è pervaso da quell’aura di quieta bellezza che solo alcuni luoghi aperti al pubblico riescono a conservare.

Liberty of London è un department store, uno tra i primi ad essere aperti nella capitale vittoriana, «una scommessa commerciale vincente» dice Roberto Bertinetti basata «su due elementi decisivi: l'innovazione nella continuità e l'intelligenza nella scelta del luogo». E così ha fatto il commesso Arthur Lasenby Liberty quando, nel 1875, decise di aprire un negozio suo, convinto di poter cambiare il gusto dei londinesi in fatto di moda e di oggettistica per la casa.

Cominciò con un piccolo spazio al 218 di Regent Street, proponendo tessuti, oggetti e complementi d’arredo di provenienza giapponese e cinese, che rispondevano a quella curiosità verso l'oriente che tanto ha influenzato l'arte e il gusto di quel periodo.

Man mano che il negozio fioriva anche il ruolo di Arthur Liberty si trasformava e, da negoziante con un certo fiuto per le tendenze future, si fece portavoce delle correnti d’avanguardia che si andavano affermando: Arts & Crafts e l’Art Nouveu. In particolar modo il connubio con i maggiori esponenti di questo movimento portò a suggellare la definizione di “stile liberty” come sinonimo di “Art Nouveau”.

La sede definitiva del department store fu realizzata negli anni Venti in stile Tudor, secondo il progetto di Edwin T. Hall. Il negozio fu costruito attorno a tre pozzi luce su cui si affacciano le gallerie di ogni piano. Arthur Liberty voleva che chi entrasse si sentisse come a casa, avvolto in una accogliente atmosfera domestica. Il legno, che è la materia prima con cui questo negozio è stato edificato, la luce naturale che filtra dalle vetrate sul soffitto e i camini presenti in molte stanze e fino a qualche tempo fa accesi durante le fredde giornate d’inverno, non potevano non creare un’atmosfera ovattata, serena, rarefatta.

Perdendosi nel labirinto delle sue stanze, allora come oggi, si respira quel lusso sobrio, che non deve dimostrare nulla perché ha già in sé un significato, lontano anni luce da quell’altro lusso, dei parvenu, chiassoso come chi lo esibisce.

Not to miss:
i fiori in mille toni e varianti, nei tessuti per la casa e per la persona.

BIBLIOGRAFIA: R. Bertinetti, Londra, Einaudi, 2007



Liberty of London
Regent Street – Gt Marlborough Street
Tube: Oxford circus Piccadilly Circus

Orari
Lunedì - Giovedì dalle 10 alle 21
Venerdì e sabato dalle 10 alle 20
Domenica dalle 12 alle 18




HISTORY, PERIODS & STYLES -20th CENTURY
Victoria and Albert Museum
London


In quello che si dice essere il più grande museo al mondo di arte, artigianato e design, la galleria dedicata al Novecento del V&A ripercorre una storia del design attraverso quegli oggetti che più sono entrati e hanno lasciato un segno nelle case e nella vita degli inglesi. Questi articoli hanno aperto dialogo ancora vivace sui rapporti tra uomo e industrializzazione e su quello scambio reciproco di influenze tra la modernità che avanzando cambia la vita dell’uomo e le influenze che di rimando l’uomo esercita sul design. Il Novecento è il secolo in cui questo dibattito prende vita attraverso la voce, in Gran Bretagna e in America, del movimento Arts and Crafts, nato in reazione sia all’eclettismo stilistico dell’età vittoriana che alla spersonalizzazione indotta dalla produzione industriale. William Morris e i Preraffaelliti si ribellarono quindi all’impoverimento in fatto di qualità e di gusto nei prodotti industriali, che secondo loro dovevano avere anche un’altra caratteristica: un prezzo contenuto. La questione da loro sollevata e il tentativo di conciliare questo conflitto portarono alla nascita del design.

Il XX secolo si apre quindi sulla spinta di queste profonde innovazioni culturali a cui si aggiunge una ancora più importante:la radio, un rivoluzionario strumento di comunicazione, ma anche un oggetto che non ha antecedenti e per il quale è necessario inventare ex novo una forma. Complice la radio cambia lo stile di vita soprattutto nelle città, i cui abitanti non riconoscendosi più nelle epoche passate cercano uno stile nuovo, che nell’arredo prende i modi della multifunzionalità e dell’open-space e nella vita assume toni rilassati.


Il design degli anni Quaranta e Cinquanta porta impressi i segni della guerra e del razionamento delle materie prime. La prova da superare è non perdere terreno di fronte all’impoverimento dei possibili acquirenti e al tempo stesso rispettare le forti limitazioni imposte dal ministero del commercio alla produzione dei tessuti. Le stoffe potevano avere stampati soltanto motivi piccoli, in modo da non sprecare tessuto nelle cuciture; solo quattro colori erano disponibili e sia i tipi che la quantità di cotone che doveva essere impiegata erano oggetto di severi controlli.


Gli anni Sessanta spazzano via qualunque restrizione e anzi rappresentano un momento di grande fioritura del design pubblicitario. Arriva la Mini, la prima macchina che ogni inglese si può permettere e decolla il design per la casa, negli oggetti di uso quotidiano, dai piatti, ai primi deltaphones, fino alle lampade stilose. Nulla si può sottrarre a questo processo, neppure la tipica mug britannica. Il design acquisisce peso e finisce per entrare in quel grande gioco che è la politica, diventando uno strumento di comunicazione straordinariamente efficace che viene impiegato per cause diverse, dai poster contro l’isolamento causato dalla paura dell’HIV negli anni Ottanta, fino ad una mug sempre di quel periodo realizzata dalla piccola Kent Miners’ Union che non si lasciò spazzare via dagli scioperi del 1984 tatcheriano.

Il volume di campi in cui la progettazione artistica è applicata è andato moltiplicandosi sempre più. Tuttavia, a pari passo, si è sviluppata anche una coscienza del design che, sotto la pressione dei consumatori, si fa portavoce delle istanze ambientali puntando già a metà degli anni Sessanta sull’ecosotenibile con i vestiti di carta, buffi abiti a vivaci fantasie floreali, e ancora di più negli anni Novanta schierandosi sotto la bandiera ideologica del riciclo.

Not to miss: lo scrittoio del britannico Edward Maufe realizzato da W. Rowcliffe, le cui forme pulite ricordano le tradizionali scrivanie, ma se unite ad un lavorazione di alta manifattura e a materiali pregiati si trasformano in qualcosa di mai visto prima e lo consacrano vincitore della medaglia d’oro al Paris Expo del 1925.



Cromwell Road
Tube Knightsbridge


Orari
Tutti i giorni dalle 10.00 alle 17.45
Venerdì dalle 10.00 alle 22.00


Biglietti
Ingresso gratuito

PEACOCKS & PINSTRIPES
8 Febbraio – 31 Maggio 2008
Fashion and Textile Museum

London

Al Fashion and Textile Museum si racconta la classe maschile nelle sue varie interpretazioni dagli anni Trenta fino ai giorni nostri, attraverso una serie di foto che immortalano icone dello stile di oggi e di ieri. Gli scatti esposti, che appartengono alla Getty Images Gallery, non vogliono costituire una retrospettiva della bellezza maschile decennio per decennio, ma offrire una panoramica delle varie espressioni che questa parola così multiforme, lo stile, assume attraverso gli obbiettivi di grandi fotografi.

C'è infatti lo stile della grande moda del fascinoso Pierre Cardin ritratto nel suo atelier, poco dopo l'inaugurazione nel 1950, prima che il suo nome si affermasse in Francia e nel resto del mondo.
E' rappresentato lo stile eccentrico incarnato da un Mickey Rourke assiso su uno scranno con pantalone di pelle e scarpe da tennis. Si vede un Malcom McLaren bizzarro nella sua espressione, giacca e cappello. Fino alla foto del 1979, Naughty but nice, di Keith Richards elegantemente distrutto che si appoggia con una spalla al muro, dimentico della sigaretta accesa che gli pende dalle dita e con il viso nascosto da un cappello floscio.

La domanda attorno a cui si sviluppa l'esposizione è: "do clothes make a man - or does the man make the clothes?" Un bell'interrogativo.
L'abito classico maschile giacca e pantalone ha rischiato troppo spesso di annullarsi nella divisa impersonale dell'uomo d'affari, nonostante ogni abito sia diverso e per realizzarlo siano necessarie precise misure (una foto curiosa rende onore alla scrupolosità delle misurazioni per un panciotto). Ci sono alcuni uomini poi che sembrano nati con il completo. Come un gentlemen immortalato nel 2007 mentre cammina in Savile Row, nel centro di Londra, semplicemente elegante nel suo tuxedo con scarpa lucida –ma non patinata- cappello di paglia e bastone da passeggio alla mano, disinvolto e incurante degli incalzanti stereotipi del nuovo millennio.

La seconda parte della mostra propone invece esempi di eleganza contemporanea. Le foto in bianco e nero scompaiono improvvisamente per lasciare spazio ai lavori di fotografi d'avanguardia che ritraggono le future icone maschili. Il legame con il passato è tangibile in queste foto, ma diventa una citazione, un'influenza esercitata sul presente, forte quanto le altre stimolazioni che lo rinnovano continuamente.

Il valore di questa mostra è dato dalla scelta che il curatore ha compiuto nell’esporre foto di uomini prima che diventassero personaggi, mentre il loro stile si stava delineando. Ancora, le foto esposte pur essendo state scattate da grandi fotografi, fatte alcune eccezioni, non sono state commissionate, ne' sono mai comparse su riviste di moda. Questo fa sì che gli uomini rappresentati si trasformino in icone del loro tempo senza diventarne però la caricatura. L'eleganza maschile, e non la moda, è il tema.


Not to miss: l'epitome dell'eleganza. Un meraviglioso Cary Grant, forse in una foto rubata da un fan, mentre assorto si appoggia alla colonna di ingresso di un albergo e rivolge la punta dell'ombrello verso l'alto e, guardando il cielo, aspetta che spiova.



Fashion and Textile Museum
83 Belmondsey Street
London
Tube: London Bridge (Guys Hospital exit)


Orari di apertura
Mercoledì-Sabato dalle 11 alle 17


Biglietto
Adulti £7
Ridotto £4
Fino a 12 anni ingresso gratuito