ILLUMINATIONS
14 dicembre- 24 febbraio 2008
Tate Modern
London

L'illuminazione è il filo conduttore che alcuni artisti emergenti hanno seguito per una riflessione sulla spiritualità e sui luoghi, gli oggetti e i gesti che la esprimono, in cinque frammenti di vita quotidiana.

Come Crossroad di Dan Acostioaei, in cui una telecamera riprende la partecipazione individuale a un rito quotidiano, quello del segno della croce, di fronte ad un luogo sacro nella città di Iasi, in Romania. Le persone riprese camminano velocemente o passano in bicicletta, alcune rivolgono uno sguardo all’immagine sacra, e si segnano; altre appena un’occhiata e meccanicamente accompagnano il gesto. La domanda che sorge è ancora una volta: i segni esteriori di fede quanto rappresentano, in ciascuno, un intimo profondo sentimento religioso e quanto invece si appiattiscono ad un mero segno di appartenenza alla comunità?

Una forma diversa di religiosità è ripresa dai due artisti Caraballo-Farman in Contours of Staying in cui praticanti del Falun Gong siedono in meditazione di fronte al consolato cinese di New York sotto una tempesta di neve. La loro è una protesta contro lo stato cinese, che dal 1999 ha dichiarato fuorilegge questa forma di qigong e ha perpetrato una feroce persecuzione contro i suoi seguaci. In queste immagini e nelle espressioni imperturbabili dei loro visi c’è un forte senso di religiosità, sia individuale nella meditazione, sia molteplice come protesta di un gruppo religioso.

Sanford Biggers nota come il senso di partecipazione alla comunità sia particolarmente forte sia negli africani americani sia nel mondo buddista. Per questo il suo Hip Hop Ni Sasagu (In Fond Memory of Hip Hop) è ambientato in un tempio zen ad Ibaraki, in un improvvisato raduno di bell-ringing, le cui singing bells sono state ricavate dalla fusione di gioielli hip-hop che Biggers ha trovato in Giappone.

Dieu di Valerie Mrejen è invece un insieme di brevi racconti di vite realizzate da otto donne e uomini che hanno abbandonato l’ortodossia religiosa ebraica. L’attenzione della Mrejen tuttavia non è diretta all’esaltazione della laicità, ma a quegli attimi di illuminazione della vita quotidiana, a quegli istanti che fanno scattare qualcosa dentro e fanno deviare dalla strada percorsa fino a quel momento.
L’idea del cambiamento è presente anche nel lavoro di Lida Abdul, Dome. Ad un primo sguardo il video sembra ambientato in un sito archeologico romano, ma bastano pochi attimi per rendersi conto che non si tratta di storia passata, ma presente. Le rovine sono di un edificio di Kabul sede l’archivio del Museo Nazionale Afgano, ora raso al suolo. Un bambino ruota su se stesso guardando in alto, il tetto divelto dalle bombe si apre sul cielo blu. Ruota come un derviscio, e sembra riassumere nel suo sguardo incredulo e triste il senso di desolazione che la guerra ha generato e che l’architettura intorno a lui riflette.

Illuminations è la seconda di quattro mostre della Tate Modern dedicate alla contemporaneità letta da artisti emergenti. I lavori sono incentrati sulI'idea di cittadinanza vista sotto vari aspetti: l’economia, la spiritualità, lo stato e l’individuo. La prima mostra del ciclo è stata The Irresistibile Force.

Tate Modern
Tube: Blackfriars Station, Mansion House

Orari di apertura
Da domenica a giovedì dalle 10 alle 18
Venerdì e sabato dalle 10 alle 22


Biglietto

Ingresso gratuito

MUSEE INTERNATIONAL DE LA REFORME
Ginevra
Svizzera


Un edificio austero ma elegante del centro di Ginevra, la Maison Mallet, ospita l’esposizione permanente del Museo della Riforma, che ha ricevuto per il 2007 il Council of Europe Museums Prize. La mostra raccoglie oggetti, libri, manoscritti, stampe e numerose Bibbie commentate a margine, che ripercorrono la storia del protestantesimo ginevrino dal 1536, anno del primo insediamento di Jean Cauvin nella città svizzera e della pubblicazione di uno dei più importanti testi della Riforma, la Institutio christianae religionis.

Gli anni che videro i natali e l’affermazione del protestantesimo in Germania e in Europa, furono anni complessi, sanguinosi, ricchi di accadimenti e di personaggi. La città di Ginevra sicuramente vanta con essi un rapporto privilegiato, che tuttavia può non essere altrettanto forte per i molti visitatori del museo. Infatti, se da un lato si sorvola con nonchalance sui toni paternalistici con cui vengono presentati i padri della riforma, Lutero e Calvino, dall’altro manca una efficace e sintetica contestualizzazione storica sulla questione delle indulgenze, sulla nascita della riforma, e di quella sua particolare interpretazione che è il calvinismo. Non mancano invece interminabili pannelli che illustrano le guerre di religione, affaticando il lettore che, stremato dalla densa lettura, si sofferma poi fuggevolmente sulle testimonianze nelle vetrine.
Ancora, se le didascalie maggiori sono tutte sia in francese che in inglese, tutte quelle minori (es. sull’impatto che l’adozione del calvinismo ebbe sull’urbanistica e sulla popolazione che già abitava al città) sono purtroppo soltanto in francese.


Un tocco di classe:
il (mal)celato messaggio dove-siamo
-arrivati-noi-è-arrivato-il-benessere ricorda fin troppo i recenti e poco riusciti tentativi di far coincidere un modello religioso con uno economico e le improbabili esportazioni di democrazia e prosperità. Con questi toni la Maison Mallet più che un museo della Riforma sembra un museo per riformati.



Musée International de la Réforme
4, rue du Cloitre
Genève – Svizzera
Tel. +41 22 310 24 31

Orari di apertura
Da martedì a domenica dalle 10 alle 17
Chiuso il lunedì

Biglietto
Adulti 10 CHF (6.14 euro)
Ridotto 7 CHF (4.30 euro)

MUSEO D’ARTE CINESE ED ETNOGRAFICO
Missionari Saveriani
Parma


Tutto nacque nel 1901, da un debito che i Saveriani avevano contratto per costruire la propria sede di Parma. E un’idea: una lotteria che permettesse loro di raccogliere fondi mettendo in palio oggetti d’arte cinese riportati dai missionari. Poi il permesso per istituire la lotteria non fu concesso e il vescovo di Parma, Guido Conforti, non ebbe cuore di separarsi da quei pezzi d’arte. Il materiale cresceva e continuò a crescere fino alla rivoluzione culturale di Mao Tse Dong che nel 1949 proibì qualsiasi forma di proselitismo religioso in Cina. I missionari allora si orientarono verso altre parti del mondo: Indonesia, Giappone, Messico, Sud America e Africa. Tutte le testimonianze, non dell’attività missionaria ma delle culture incontrate, sono raccolte sugli scaffali del museo e illustrate nell’esaustiva homepage del museo. Soprattutto non si tratta esclusivamente di oggetti d’arte per l’arte, ma di manufatti per uso domestico finemente lavorati, come un tempio in avorio alto un metro, intagliato in ogni centimetro risalente alla dinastia Ming (1368-1644) o fermacapelli per signore, leggiadri, il cui celeste non è dato da uno smalto ma da piume di martin pescatore, tagliate in sezioni di pochi millimetri e fissate su supporto metallico. Sono esposte ceramiche che i cinesi chiamavano “per l’esportazione”, vasi grandi, spessi, dai colori tremendamente kitsch, un vero pugno in un occhio dopo vetrine di raffinate ceramiche bianchissime e cobalto.

La visita si conclude con una piccola mostra temporanea “Le fonti del sacro nell’arte africana”, in cui le tradizionali maschere africane vengono inserite all’interno di un contesto religioso e culturale i cui soggetti sono l’uomo, lo sciamano, l’aldilà, la malattia, la nascita.


ll museo ha un impianto principalmente didattico e i suoi visitatori più frequenti sono le classi ma, previo avvertimento telefonico, è aperto anche al pubblico. Un missionario accompagna lungo la mostra e integra i pannelli informativi con suoi racconti di viaggio e studi di arte e antropologia.
Nonostante la sede nella Casa dei Missionari Saveriani, sia il museo che la guida sono improntanti più sull’aspetto antropologico ed etnografico che su quello religioso.


Not to miss: le famose scarpine delle donne cinesi, che non dovevano misurare più di dieci centimetri. Ipnotiche. Impossibile fermare lo sguardo che scende fino alle proprie scarpette che hanno poco di Cenerentola e molto di Berthe au grand pied.



MUSEO D’ARTE CINESE ED ETNOGRAFICO

Missionari Saveriani

V.le S. Martino, 8 Parma
Tel. 0521 257 337
mail@museocineseparma.org
www.museocineseparma.org


Orari di apertura

Tutti i giorni ore 9-12, 15-18
Chiuso il mercoledì e la domenica mattina

Biglietto
Gradita un’offerta libera

GOYA DUE SECOLI DI CAPRICCI
8 dicembre – 27 gennaio 2008

Palazzo Pigorini
Parma

80 acqueforti e acquetinte, concepite come opera unica e terminate nel 1799.
80 capricci, o “pensieri stravaganti” di riflessione e satira della società, a tutti i livelli, dalle prostitute che adescano i clienti per strada agli alti lignaggi rappresentati come asini, fino alla casa reale.
La chiave per comprendere il senso di un’opera così articolata è offerta dall’autore stesso che colloca, in apertura, un proprio autoritratto, che in calce reca la scritta sibillina “Il mio vero ritratto di umore nero e in atteggiamento satirico”. Gli occhi stretti, lo sguardo scontento e distante induriscono il volto fino a farlo sembrare una maschera e la posa di profilo, del tutto innaturale per ritrarsi, ne accentua la rigidità. Un ultimo tocco, l’abito da afrancesado, da giacobino, lo fe entrare nel vivo di uno dei più grandi rivolgimenti politici e sociali della storia.
Le stampe successive sono un susseguirsi di vizi –vanità, ira, lussuria, gola..- che attaccano la povera gente come i nobili. Viene analizzato il coraggio, che si afferma solo come sopraffazione di chi ha poco su chi ha niente, l’esercizio del potere. Goya porta alla luce gli esasperanti tentativi delle famiglie agiate di quella Spagna così profondamente gerarchica, di dimostrare la lunga vita del proprio casato. La menzogna, tra padre e figli, tra moglie e marito, l’ipocrisia dei matrimoni combinati, e la benedizione del clero che non si fa attendere. Superstizione e stregoneria, ritratti grotteschi, crudeli ma assolutamente veritieri e attuali, riducono l’uomo a mera macchietta di se stesso.

Messi in vendita nel negozio di vini e coloniali dello stesso artista, suscitarono uno scandalo tale da richiamare la Santa Inquisizione che ne proibì la vendita; passarono allora ai reali di Spagna, in cambio di una pensione per il figlio di Goya.
“Los caprichos” videro una seconda ristampa solo nel 1855, a quasi trent’anni dalla morte del lloro autore, conobbero un successo enorme e divennero una delle opere grafiche più importanti della storia dell’arte.

La seconda parte della mostra è dedicata a grandi incisori del XX secolo che raccolsero l’eredità di Goya e portarono avanti la critica sociale e politica, il gusto per il visionario, il fantastico e il grottesco. Alcuni dei loro nomi: Marc Chagall, Salvador Dalì, Honoré Daumier, Gustave Doré, Alfred Grévin, George Grosz, Renato Guttuso, Max Klinger.


«Il grande merito di Goya consiste nella creazione del mostruoso verosimile [..] in una parola, la linea di sutura, il punto di congiunzione tra il reale e il fantastico sono impossibili da cogliere.»
Charles Baudelaire, Quelques caricaturistes étrangers, 1857

«L’immaginazione di Goya ha il proprio punto focale nella descrizione dell’Inferno sulla terra. Le sue immagini deformate oltrepassano il limite che separa il comico dal terrificante. Esse saldano in modo indissolubile le due anime della caricatura, la tendenza realista allo slancio fantastico e, ciò facendo, esse annunciano tanto lo sguardo acido di Grosz quanto l’universo visionario di Kubin.»
Werner Hofmann, Die Karikatur, von Leonardo bis Ricasso, 1956

Not to miss: il capriccio [52] Lo que puede un Sastre! , Quello che può un sarto!, in cui un tronco d’albero, agghindato da santo, è venerato dal popolo che si prosterna senza riconoscerne la vera natura.
Nella seconda parte della mostra, le incisioni di Dalì che citano, uno per uno, i Capricci di Goya


Palazzo Pigorini
Strada Repubblica, 29 Parma
tel. 0521- 218 967

Orari di apertura
Ore 10 - 18
Chiuso il lunedì

Biglietto
Ingresso Libero