CRANACH
Royal Academy of Arts

London

8 marzo – 8 giugno


Lucas Cranach il Vecchio, insieme a Dürer, è stato una delle maggiori personalità del Rinascimento Tedesco. E io lo trovo assolutamente affascinante.

Saranno i suoi nudi femminili, dai corpi allungati, di una grazia scomoda, poco levigata, tedesca ma al contempo intrigante, come Venus con occhi quasi a mandorla e lo sguardo accattivante. Pericoloso potere seduttore della donna.


I contatti tra i due maestri tedeschi sono provati e i rimandi a Dürer sono evidenti sia nei lavori incisori di Cranach che nei dipinti. L’esempio più noto è la Melancholia a cui entrambi hanno cercato di dare un volto. Cranach ha dato a questo strano turbamento dell’essere le fattezze di una giovane donna e l’ha inserito all’interno della nascente iconografia protestante, rendendolo un’opera a sé stante rispetto al precedente di Dürer. La misura della distanza esistente tra le due opere è data dal gruppo di streghe che irrompono e impazzano nella parte sinistra del quadro spezzando irrimediabilmente la pensosa staticità di spazio e tempo. L’inattività dettata dallo stato melanconico era inaccettabile per lo spirito protestante che aleggiava della Germania sassone del primo Cinquecento e Cranach, amico personale di Lutero e seguace della nuova fede, espresse in modo inequivocabile questa condanna.

Di Cranach mi affascina la lealtà dimostrata all’Elettore di Sassonia, suo mecenate, seguito nell’esilio e al contempo l’indipendenza spregiudicata della sua professione. Il suo legame personale con Lutero, suggellato anche da atti formali- il pittore fu il testimone di nozze del riformatore tedesco e padrino del suo primo figlio- non gli impedì di accettare commissioni dal maggiore antagonista di Lutero, il cardinale Albrecht di Brandenburgo, il più importante uomo di Chiesa del Sacro Romano Impero, per il quale realizzò una serie di ritratti.

L’opera di Lucas Cranach rimane tuttavia fortemente legata allo spirito della Riforma. Lavorando attivamente alla diffusione dei suoi temi e soggetti, diede una forte spinta alla creazione di una vera e propria iconografia per questa fede di rottura, il cui rapporto ambiguo con l’arte correva sul filo dell’iconoclastia. Alcuni dei suoi dipinti erano a sfondo moraleggiante, ma privi di pesantezza e anzi ricchi di quella ventata di rinnovamento che la Riforma aveva portato in tutta Europa. A sostegno del credo luterano Cranach dipinse il grottesco in una serie di quadri sui matrimoni male assortiti, e la duplicità della donna vista come esempio di fedeltà assoluta, come Lucrezia o come diavolo tentatore, come la Venus riccamente agghindata a cui accennavo prima.


La figura di questo pittore è ricca e interessante nel panorama del Cinquecento tedesco, di Wittemberg epicentro della Riforma ma non solo. La fama della sue abilità come ritrattista varcò le soglie della corte e si diffuse rapidamente in tutta la Germania.


Assolutamente meravigliosi i paesaggi che fanno da sfondo a molti suoi dipinti. Ricordano Dürer e i fiamminghi per la ricchezza di particolari, senza però risultare una mera somma di dettagli, ma mantenendo una visione d’insieme e un equilibrio da maestro.

Not to miss: 1526, Adamo ed Eva, lei che con una mano abbassa il ramo e con l'altra porge il frutto proibito, guardando Adamo con uno sguardo seducente, lui con una mano sulla mela, con l'altra posata sulla testa, incerto. Si vorrebbe fidare della sua compagna ma allo stesso tempo il sentore di pericolo è forte. E sappiamo tutti come andò a finire.

Curiosità: Il quadro Cupido che si lamenta con Venere faceva parte della collezione privata di Hitler. Ora la National Gallery ha lanciato un appello a chiunque abbia informazioni per ricostruire la storia e la proprietà dell'opera.


Royal Academy of Arts
Burlington House
Piccadilly
London W1J 0BD

Orari
Tutti i giorni dalle10 alle 18
Venerdì dale 10 alle 22

TUTTI PAZZI PER BANKSY
fino al 29 marzo
The Andipa Gallery
London


Chi lo sa che faccia ha, chissà chi è, tutti sanno che sia chiama..Banksy. Lui, che segna le strade di Londra, Bristol, New York e Sidney con graffiti dai tratti fini, realizzati con stencil di grandi dimensioni. I lavori di Banksy sono acute satire a sfondo politico (è anti-bellico e anti-capitalista), culturale ed etico.

Spesso ritrae poliziotti (persi in un appassionato bacio omosessuale, terrificanti mentre con uno smiley al posto del viso, sotto il casco, brandiscono un manganello e si fanno avanti quasi pregustassero il gusto dell’assalto) e soldati in guerra. Vederseli di fronte fotografati in un’ immagine di ordinaria violenza, anche solo accennata dai tratti crudi ed essenziali di stencil e bomboletta, fa davvero balzare agli occhi l’inutilità di quelle morti e quel sangue. E’ curioso come siamo ormai completamente anestetizzati di fronte ad immagini di brutalità inaudita passate alla televisione, mentre ancora ci fanno venire i brividi le stesse scene, solo presentate in un altro modo e magari viste in una galleria piuttosto che al solito telegiornale.

Anche ratti e il mondo animale (un elefante che trasporta una bomba sulla schiena), trovano spazio nei suoi graffiti. E bambini che se a volte sembrano trionfare sulla morte e sulle armi, altre sembrano solo spaesati, troppo piccoli per agire e non subire i giochi dei grandi. Alcune immagini sono accompagnate da una frase, ma la maggior parte esprimono il proprio messaggio nel linguaggio non-verbale, crudo e insieme ironico di Banksy.

Il successo che le sue opere hanno avuto e’ stato enorme, e ora sono contese e vendute in aste milionarie. Addirittura, nel febbraio 2007, avendo messo in vendita una casa sul cui muro era passato Banksy, ed essendo venuti a conoscenza dell’intenzione dei nuovi proprietari di rimuovere I murali, una coppia di Bristol ha girato l’offerta d’acquisto ad una galleria d’arte. Il pezzo e’ stato venduto come un murale con una casa attaccata.

The Andipa Gallery espone in questi giorni i suoi lavori anche lei, curiosamente, nelle sue due sedi, al 19 e al 162 di Walton Street, a Chelsea (con file chilometriche e buttafuori!). Pare che Banksy non gradisca molto iniziative del genere. A questo proposito riporto le sue parole che oltre alla sua opinione a riguardo danno un’idea della sua personalità critica.
What's with all the gallery shows?
None of the print and painting exhibitions in proper art galleries are anything to do with me, it's all stuff they bought previously. I only ever mount shows in warehouses or war zones or places full of live animals (I'm aware the pictures don't stand up on their own).


Not to miss: Mickey Mouse e McDonald mostri sorridenti che tengono per mano Phan Thi Kim Phúc, la bambina vietnamita protagonista di Vietnam Napalm foto di Nick Ut, vincitrice del Pulitzer 1972.


The Andipa Gallery

19 e 162 Walton Street
London SW3 2JL
Tube

Orari
lunedì - sabato dalle 11 alle 18
Chiuso la domenica

Ingresso
Gratuito

SLEEPING & DREAMING
WAKE UP SLEEPY HEAD
29 novembre - 9 marzo
Wellcome Collection
London


“Passiamo un terzo della nostra vita dormendo” e per me quel terzo è fondamentale. Scandisce l’attività di tutta la giornata, e anche il buon umore.

Al buio si sprigiona la creatività, ma anche gli incubi peggiori. Una notte del 1713 il violinista Giuseppe Tartini sognò di stringere un patto con il diavolo, quasi per gioco gli offrì il suo violino e il diavolo gli suonò la melodia più emozionante e complessa che avesse mai udito. Si svegliò e preso il violino tentò di ricrearla, non riuscendoci passò poi anni nel tentativo di riafferrare quel ricordo di una notte. Per Goya le tenebre significavano il sonno della ragione e il prender vita dalla mente umana di spaventosi mostri.

Before you slip into unconsciousness.. cantavano i Doors, ma quello strano stato in cui si cade la sera, si può davvero chiamare incoscienza? E, ancora, si può vivere senza dormire? Negli anni Cinquanta il disc jockey newyorkese Peter Tripp ha sfidato ogni legge naturale e, continuando a condurre il suo programma alla radio, ha battuto ogni record di veglia consecutiva: 201 ore. 8 giorni e mezzo. Pare che lo stato di allucinazione causato dalla prolungata mancanza di sonno l’avesse portato ad una crescente aggressività e paranoia, tanto che si ritiene che la china discendente presa successivamente dalla sua carriera sia dovuta anche agli effetti collaterali di quell’esperimento.

Come si vede alla Wellcome Collection,
questa domanda è riemersa in ogni momento della storia dell’uomo e si è imposta come quesito fondamentale negli ultimi cento anni. Il mito dell’uomo virile che non ha bisogno come gli altri esseri umani sembra infatti riemerge in momenti diversi durante il Novecento. Un manifesto degli anni Trenta, della Repubblica di Weimar mostra un uomo dormiente, tormentato da un diavolo verde che, arrabbiatissimo, gli punta il dito contro e con l’altro indica veementemente la montagna di lavoro da fare. Un’altra immagine pubblicitaria uscita sul numero di marzo 1923 di “Science and invention”, meno violenta ma pur sempre inquietante, mostra un direttore di giornale comodamente seduto sul una poltrona da ufficio, circondato da un fascio di corrente elettrica e con un tubicino alla mano che a una prima occhiata sembrava una sigaretta. Un grande orologio segna le tre del mattino. Giustamente ricaricato di energia elettrica e con una corretta ossigenazione il bravo caporedattore può tranquillamente lavorare tutta la notte.

Sorridevo mentre guardavo la copertina di questa rivista scientifica pensando a quanto fossero ingenui gli uomini degli anni Venti. Poi sono tornata a casa e ho aperto il giornale online: Berlusconi dopo una notte dedicata alla definizione delle liste commenta "Non ho toccato il letto" e sale sul palco del Pala Lido per stracciare, in un accesso di onnipotenza, il programma del Pd. Ricorda fin troppo da vicino il detto “il duce non dorme mai”. Questo mito dell’uomo straordinariamente dotato, che riesce a vincere la lotta che tutti gli altri uomini perdono ogni giorno –la necessità del sonno- continua ad essere riproposta nella sua, ormai lo possiamo dire, imbarazzante ingenuità. Prima di agire in modo sconsiderato sarebbe meglio dormirci su. La notte porta consiglio, pare.

Not to miss: sleeping e dreaming dei Londinesi che durante i bombardamenti di Londra durante la seconda guerra mondiale cercavano rifugio tra i binari della metropolitana, chiusi per l’emergenza, tra Aldwich e Holborn.


Wellcome Collection
183 Euston Road
NW1 2BE
Tube: Euston, St. Pancras, King's Cross


Orari di apertura
martedì - domenica dalle 10 alle 18
giovedì dalle 10 alle 20

Ingresso
Gratuito
Chiuso il lunedì

DEUTSCHE BÖRSE PHOTOGRAPHY PRIZE
8 febbraio - 6 aprile 2008
The Photographers’ Gallery
London


The Photographers’ Gallery ha una location fantastica e una curiosa planimetria. La galleria e’ al numero 5 di Great Newport Street, ma anche al nr.8. I due edifici non comunicano tra loro ma sono vicini e ospitano le stesse mostre, metà di qua e metà di là. In questi giorni ci sono i lavori dei quattro finalisti del Deutsche Börse Photography Prize che viene assegnato annualmente al professionista che, durante l’anno precedente, ha dato un contributo maggiore alla fotografia. Quest’anno i finalisti sono John Davies (UK), Jacob Holdt (Danimarca), Esko Männikkö (Finlandia) e Fazal Sheikh (USA).

Se dovessi stilare una classifica personale, incoronerei John Davies e Jacob Holdt, a parimerito.
Davis espone fotografie di grande formato, molte in bianco e nero, scattate per lo più tra il 1979 e il 2005. I soggetti su cui torna sono i panorami britannici, città o spazi aperti, alcuni abitati altri deserti. Luoghi apparentemente dimenticati, ma che portano nella loro topografia i segni di una storia recente, industriale e post-industriale inquadrata in brevi testi a lato delle foto.


Anche Jacob Holdt racconta una storia, quella delle minoranze di colore nella grande America, e lo fa attraverso una scelta tra le …mila foto che ha fatto in cinque anni, ora proiettate su un muro, tutte scattate durante un viaggio da autostoppista nei primi anni Settanta. Gli scatti di Holdt rimangono impressi per la loro intimita’. E’ riuscito a ricostruire il calore e la passione tra una coppia di ragazzi afroamericani in una casa disadorna, la cieca fiducia nella protezione dei fucili di una famiglia borghese bianca e l’assoluto degrado delle fasce più basse della società. Holdt e’ riuscito a cogliere l’essenza della società americana degli anni Settanta, con le sue passioni e le sue contraddizioni, intendendo la fotografia come un mezzo per far conoscere l’estrema ingiustizia sociale e razziale che aveva incontrato nel suo cammino.


La denuncia di Fazal Sheik tocca invece una parte ben definita della popolazione indiana contemporanea: le donne. Sono i volti di queste, bambine, mature, che fissano l’obiettivo o che ne rifuggono posando di spalle. Hanno tutte vissuto drammatici episodi di violenza inaudita, in un paese dove la loro vita non conta nulla e dove l’ecografia viene usata solo per scoprire in anticipo il sesso del nascituro e per provvedere tempestivamente all’aborto in caso risulti femmina. Le storie raccontate nei testi accanto alle foto sono tuttavia così dolorose che finiscono per assorbire tutta l’attenzione, mettendo in netto secondo piano le foto stesse.


Completamente diversa è l’attitudine fotografica di Esko Männikkö, che da cacciatore è diventato fotografo negli anni Ottanta. Nei suoi lavori porta con sé il ricordo degli spazi aperti, e del silenzioso isolamento in cui vivono uomini e animali in certe zone tra Lapponia e Finlandia. “I’m a photographer of fish, dogs and old men:” ha detto una volta.


Not to miss: Agecroft Power Station, Salford (Davis 1983), una centrale di carbone del 1925, poi chiusa. Ora lo stesso luogo è occupato dalla HM Prison Forest Bank per detenuti di 18-20 anni, che nella foto giocano a calcio mentre le loro figure, minuscole davanti all’immensità della centrale, si perdono in un paesaggio lunare.


The Photographers’ Gallery
5 & 8 Great Newport Street
London WC2H 7HY
Tube: Leicester Square

Orari di apertura
Lunedì – Sabato dalle 11:00 alle18:00
Giovedì dalle 11:00 alle 20:00
Domenica dalle 12:00 alle 18:00

Ingresso
Ingresso gratuito

COLAZIONE ALLA TATE


Non so se siete mai riusciti a fermarvi a Londra abbastanza a lungo per godere a pieno del privilegio di entrare alla Tate Modern, ma solo per una mezzora, il tempo di vedere un Rothko e poi continuare la passeggiata sul Tamigi. Io mi ci sono abituata così in fretta che penso farò fatica a farne a meno.

La tradizione del libero accesso alla cultura è lunga in Gran Bretagna. I più antichi musei (la National Gallery, il British Museum, la Tate Britain) erano stati aperti, tra Sette e Ottocento e poi in epoca vittoriana, al fine di contenere e conservare i tesori che appartenevano ai cittadini, permettendo loro di goderne ogni volta che lo desiderassero. Troppo bello per passare incolume i giorni bui della storia. Un giro di vite è infatti stato dato dalla Lady di Ferro che impose a molti musei l’introduzione di un biglietto, iniziativa che ebbe pesanti ricadute sul numero dei visitatori. L’uomo della svolta è stato Tony Blair che prima di imbarcarsi in politiche discutibili, ha fatto in tempo a riaprire i musei ad una folla non pagante. La proposta era: abolizione del biglietto per le collezioni permanenti in cambio di sgravi fiscali e supporto statale in caso di spese importanti. E ha funzionato. Oggi la maggior parte dei musei è ad ingresso gratuito, insieme ad una costellazione di gallerie e spazi espositivi. E tutti ben lungi dalla bancarotta. La Tate Modern nonostante gli astronomici costi di ristrutturazione, ha un bilancio in attivo che le permette frequenti nuove acquisizioni.

Allora c'è un trucco?
Di più, ce ne sono tre:
il mantenimento del biglietto per le mostre temporanee, la presenza di un fornito bookshop e l’apertura di adorabili Cafè e Tearooms, in ambienti luminosi, arredati in sintonia con lo stile del museo in cui sono inseriti, ma sempre con gusto. Circondati da un sereno chiacchiericcio, si può sorseggiare un tè accompagnandolo da un muffin ai mirtilli, o da una fetta di quelle squisite torte tanto amate dagli inglesi. Nei musei più grandi, come il British o il Victoria & Albert si può addirittura avere un pasto completo, un pranzetto domenicale un po’ diverso dal solito. Ci si ritempra dallo stare in piedi della mostra, si ripercorrono mentalmente (e dolcemente) le opere viste, per poi rimettersi in cammino. Per concludere, l’idea è buona.

Le strategie per aumentare la familiarità con arte, musei e quant’altro esistono e sono già state rodate. Sarebbe bello che anche i musei italiani si scuotessero di dosso quella patina di noia polverosa che a volte li circonda per ridiventare luoghi da vivere, aperti al pubblico nel vero senso della parola.