COLAZIONE ALLA TATE
Non so se siete mai riusciti a fermarvi a Londra abbastanza a lungo per godere a pieno del privilegio di entrare alla Tate Modern, ma solo per una mezzora, il tempo di vedere un Rothko e poi continuare la passeggiata sul Tamigi. Io mi ci sono abituata così in fretta che penso farò fatica a farne a meno.
La tradizione del libero accesso alla cultura è lunga in Gran Bretagna. I più antichi musei (la National Gallery, il British Museum, la Tate Britain) erano stati aperti, tra Sette e Ottocento e poi in epoca vittoriana, al fine di contenere e conservare i tesori che appartenevano ai cittadini, permettendo loro di goderne ogni volta che lo desiderassero. Troppo bello per passare incolume i giorni bui della storia. Un giro di vite è infatti stato dato dalla Lady di Ferro che impose a molti musei l’introduzione di un biglietto, iniziativa che ebbe pesanti ricadute sul numero dei visitatori. L’uomo della svolta è stato Tony Blair che prima di imbarcarsi in politiche discutibili, ha fatto in tempo a riaprire i musei ad una folla non pagante. La proposta era: abolizione del biglietto per le collezioni permanenti in cambio di sgravi fiscali e supporto statale in caso di spese importanti. E ha funzionato. Oggi la maggior parte dei musei è ad ingresso gratuito, insieme ad una costellazione di gallerie e spazi espositivi. E tutti ben lungi dalla bancarotta. La Tate Modern nonostante gli astronomici costi di ristrutturazione, ha un bilancio in attivo che le permette frequenti nuove acquisizioni.
Allora c'è un trucco?
Di più, ce ne sono tre: il mantenimento del biglietto per le mostre temporanee, la presenza di un fornito bookshop e l’apertura di adorabili Cafè e Tearooms, in ambienti luminosi, arredati in sintonia con lo stile del museo in cui sono inseriti, ma sempre con gusto. Circondati da un sereno chiacchiericcio, si può sorseggiare un tè accompagnandolo da un muffin ai mirtilli, o da una fetta di quelle squisite torte tanto amate dagli inglesi. Nei musei più grandi, come il British o il Victoria & Albert si può addirittura avere un pasto completo, un pranzetto domenicale un po’ diverso dal solito. Ci si ritempra dallo stare in piedi della mostra, si ripercorrono mentalmente (e dolcemente) le opere viste, per poi rimettersi in cammino. Per concludere, l’idea è buona.
Le strategie per aumentare la familiarità con arte, musei e quant’altro esistono e sono già state rodate. Sarebbe bello che anche i musei italiani si scuotessero di dosso quella patina di noia polverosa che a volte li circonda per ridiventare luoghi da vivere, aperti al pubblico nel vero senso della parola.
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