PYONGYANG
Guy Delisle
Ed. Fusi Orari

IV edizione Sett.2008


Avete già letto Pyongyang? E’ una graphic novel di Guy Delisle, un disegnatore canadese invitato per un paio di mesi a Pyongyang, capitale della Corea del Nord, da uno studio di animazione. Guy parte con le raccomandazioni ai viaggiatori (i cellulari verranno confiscati all’aeroporto e riconsegnati all’uscita del paese) e si porta con sé un libro (a caso), 1984 di Orwell.
Appena uscito dall’aeroporto viene portato a porgere i propri omaggi alla statua alta 22 metri di Kim Il-Sung, rimasto Presidente della Corea del Nord anche dopo la morte, avvenuta bel 1994.

Scopre poco a poco le stranezze e le libertà continuamente violate di un paese chiuso, anzi barricato in se stesso, che ha dovuto aprire uno spiraglio all’occidente in veste di aiuti umanitari non potendo più nascondere la grande carestia che nel 1995 si era abbattuta sul paese. E che non ha esitato a riconvertire gli aiuti umanitari in strumento per consolidare l’assolutismo della dittatura.


Guy Delisle si guarda attorno con lo sguardo allenato del disegnatore. Si stupisce, si stizzisce ma non cade dell’ovvietà dei facili giudizi. Come non accusare una dittatura che rende l’aria irrespirabile, che riempie fino al grottesco le vite dei suoi sudditi di dimostrazioni schiaccianti della grandezza della nazione e della propria superiorità rispetto al mondo capitalista, che fa lavorare 6 giorni alla settimana e, al settimo, obbliga a prestare servizio volontario per attività socialmente utili.

Rimane in sospeso la domanda “ma loro ci credono davvero?” Per molti, purtroppo, la risposta sembra essere sì.


FONTANELLATO
Una vera libido per i feticisti del modernariato
per voi ogni
1° e 3° weekend del mese


Fontanellato è un paese da cartolina. Con la rocca, il fossato con acqua e pesci, negozi con insegne rispettose del buongusto e case intonacate di fresco. Un bel posto per una gita domenicale, magari soleggiata, come l’altro ieri. Oltre alle attrattive paesaggistiche e culturali (la Rocca Sanvitale e una sala affrescata dal Parmigianino), domenica scorsa era anche giorno di mercato, che pare conti 300 bancarelle di antiquari. Ora, io le bancarelle non le ho contate e non avevo neppure la mia macchina fotografica per offrirvi delle istantanee della giornata (ebbene sì, la foto panoramica qui su non l’ho scattata io mentre ero in volo sparata da un cannone..). Dicevo che le bancarelle non le ho contate ma il loro numero, seppur 300 mi sembri un po’ azzardato, rimane uno dei più importanti -a appuntamenti a livello nazionale, per quanto riguarda l'antiquariato. E soprattutto, la percentuale di ciarpame (spille abnormi in finti Swarovski con pendant di anello e orecchini..) era assolutamente accettabile per farmi considerare il mercatino una vera libido per i feticisti del modernariato. Stampe a non finire, di erbari, pubblicità di ogni decennio del Novecento, politiche (viste, una affianco all’altra una del Baffone e una del Dux, ma si ignoravano: Stalin guardava lontano di tre quarti, il Duce era fissato su uno imprecisato degli astri), e poi c’erano madie, tavoli, armadi e cassettiere di ogni foggia e periodo, servizi di bicchieri spaiati –ma deliziosi - e tappezzerie per la casa. Una meraviglia.

Se potessi la vostra gita la organizzerei così: arrivo intorno alle 11, giro tra gli antiquari, pranzo (ma prenotate con larghissimo anticipo!) alla Trattoria del teatro per meditare sugli oggetti che vi hanno colpito al cuore e ponderare eventuali acquisti davanti ad un bel piatto di tortelli annaffiato da un buon vino, proseguire con passeggiata digestiva e concludere gli affari.

Vi offro anche la possibilità di un itinerario II: sempre giro in paese durante la mattinata, pranzo un po’ più rapido -ma sempre a base di tortelli in un baretto con i tavolini fuori un po’ defilato –di cui naturalmente non ricordo il nome ma provvederò- e visita alla rocca.
Buona domenica!

Not to miss:
nei giorni di mercato antiquario e anzi si anima di una popolazione variegata per fauna (pellicce più o meno DOC), lingue (dal locale parmense imbastardito al veneto, all’immancabile lombardo recentemente arricchito) e costumi (cappellini demodè e unghie laccate rosso fuoco di qualche lady-wannabe).

REVOLUTIONARY ROAD
Sam Mendes

Finalmente ce l’hanno fatta, Leonardo DiCaprio e Kate Winslet a togliersi di dosso le stucchevoli vesti di Titanic. Devo ammetterlo, io 12 anni fa con la glicemia alle stelle non ci avrei giurato, e invece ce l’hanno fatta. Chapeau. Qualche avviso c’era stato, a dire il vero, anche in passato. Nel 2004, con Eternal sunshine of the spotless mind passato in silenzio sugli schermi italiani come Se mi lasci ti cancello (un grazie a chi ha curato la traduzione del titolo), un accenno di profondità e di una arte recitativa, Kate l’aveva dimostrato. E anche lui, Leo, con il lontano The Beach, uno sprazzo, un barlume ma sì, lo riconosciamo. Anche in Catch me if you can, ci poteva stare. Ora bravi, credibili entrambi per ruoli complessi, difficili, tormentati ma non come possono essere tormentati che ne so, Nicole Kidman in Ritorno a Cold Mountain o Michael Pitt in Last days.

E poi c’era un’altra questione davvero spinosa: soddisfare il pubblico di lettori radical chic del libro, Revolutionary Road di Richard Yates che ancora, a distanza di anni, conservano nitido il ricordo del respiro mozzato da un pugno nello stomaco. Bravo Sam Mendes a lasciare intatta quella sensazione, che si sente nelle pagine del romanzo, nelle scene del film, e ogni giorno fuori casa. Credo che ognuno di noi abiti nella sua Revolutionary Road, o nella Big Vongola, come chiamiamo noi snob la nostra città di origine. Calda, avvolgente e –ahimé- malsana per anima e corpo come una palude. E quella voce fastidiosa che ti raggiunge le orecchie mentre sei fuori con gli amici di sempre, in una serata di sempre e ti sussurra “E’ davvero tutto qui?”. Il malessere cresce, lo ignori nascondendoti dietro la quieta routine. Guardi te, guardi loro, sempre più distanti, non si parla di niente. Manca ossigeno ma il tarlo non va nominato. Due non ce l’hanno, tre lo ignorano e a me divora il cervello. Cercare in loro condivisione e conforto è pura follia. Sarebbe un errore.
Perchè puoi avere o non avere il tarlo. Se non ce l’hai, sei fortunato e ti attende una vita sfanculata e moderatamente priva di sfide, ma se ce l’hai, se ce l’hai sai che non puoi metterlo via. E dovrai combattere ogni giorno e metterti in gioco e non avere lasciarti paralizzare dalla paura. Ormai la tua scelta l’hai fatta, come April ha fatto la sua ancora prima di chiedere a Frank di ricominciare a Parigi. Non puoi che andare fino in fondo e, magari, sperare di avere accanto un uomo meno mediocre di suo marito.
RE/SISTERS


Questo documentario nasce in risposta al primo, R/esistenze, sulle donne partigiane in Italia, una specie di passaggio della staffetta. Il primo l’ho perso e per poco non ho perso anche questo, rimasto in esposizione solo un paio di settimane, in una stanza del Museo della Resistenza dove il personale quando vedeva un visitatore veniva ad accendere il video – dalla pessima risoluzione audio.


Primi istanti di spaesamento. Ma se si riesce a mettere da parte l’insofferenza per gli obsoleti giochi di parole da femminista inacidita (uno per tutti, il titolo) e l’allestimento fai-da-te, la mostra ha davvero molto da dire. O da suggerire.


Alle pareti sono appesi ritratti fotografici di donne che hanno lottato, stanno lottando, non per ideali astratti ma per problemi concreti con cui si scontrano ogni giorno. Guerra, disagi sociali, ecologici, religiosi, silenzi politici, discriminazione sessuale. Conoscevo alcune di loro, spesso solo i loro nomi, come la fisica Vandana Shiva, sostenitrice dell’ecofemminismo, che sapevo autrice di Monocolture della mente ma di cui ignoravo le lotte per la salvaguardia ambientale e dei saperi tradizionali indiani e la battaglia ancora aperta contro l’introduzione degli OGM in India.

Sapevo che le madri dei desaparecidos argentini si erano costituite in associazione, Madres de Plaza de Mayo, ma non sapevo davvero quale fosse il loro ordine del giorno. E sono rimasta colpita. Dai volti segnati di queste donne semplici, madri qualunque, che di fronte al dolore lacerante del rapimento, tortura e cancellazione dell’esistenza dei loro figli, hanno trovato la forza per combattere il silenzio e sfilare ogni settimana, dal 30 aprile 1977, di fronte alla Casa Rosada nonostante l'omertà di chi sapeva, le intimidazioni ricevute e il rapimento e poi l’omicidio di tre fondatrici. In questi trent’anni le madres non si sono mai fermate e hanno aperto un caffé letterario, una biblioteca, una università cooperativa, una videoteca, una casa editrice, e ora anche una stazione radio. Hanno visto riconosciuta la loro tragedia con ammissioni politiche e da mobilitazioni internazionali. Dicono che sono stati i loro figli, che non avevano paura di far sentire le loro voci, a farle rinascere.

Aminattou Haidar viene da un’altra parte del mondo, è sposata e ha due figli. Aminattou Haidar è il simbolo della lotta per la difesa dei diritti umani nei territori occupati del Sahara occidentale, violate dalle forze marocchine. Aminattou Haidar per la sua protesta pacifica ha subito incarcerazioni e torture. L’ultima volta, il 17 giugno 2005, è stata prelevata dall’ospedale dove le stavano medicando le ferite inferte dalla polizia marocchina durante una manifestazione pacifica a El Ayoun. In commissariato è stata sottoposta a tre giorni di interrogatori, in isolamento, senza cibo né medicinali, poi è stata trasferita nel Carcel Negro di El Ayoun da dove è uscita sette mesi dopo per riprendere il suo attivismo a favore dei diritti umani e del Sahrawi.


Questa galleria di ritratti, ognuno con una storia drammatica alle spalle e ognuno sorretto da determinazione e coraggio è e deve rimanere il volto non di eroi o eroine, ma di persone comuni, per cui farsi delle domande e trovare delle risposte è un processo normale, quotidiano.
Se penso all’Italia in cui viviamo non posso non avvertire ancora più forte quella fitta amara, di dolore e disgusto per una classe politica che fa il buono e il cattivo tempo e le cui magagne vengono programmaticamente coperte da scuse così incredibili da risultare offensive per l’intelligenza dell’ultimo dei cittadini. E nessuno si indigna. Molte di queste donne vengono da paesi in via di sviluppo, spesso non hanno potuto accedere ad un’istruzione avanzata. Noi abbiamo lauree e master alle spalle che ci dovrebbero aver dato gli strumenti culturali per comprendere il nostro tempo e acquisire quella perla rara che è il senso critico. E per cosa?


Dove
Museo del Risorgimento e della Resistenza
Corso Ercole I d'Este, 19
Ferrara

Admission
Free

RICHARD ROGERS + ARCHITECTS
From the House to the City
24 aprile – 25 agosto
Design Museum - London


Richard Rogers con il suo design modernista e funzionale e le numerose collaborazioni con i più grandi architetti del Novecento ha lasciato una traccia profonda nella storia dell’architettura britannica e mondiale. Al Design Museum sono in mostra suoi progetti sulla carta e in modellino, a volte realizzati, a volte no, di edifici e complessi architettonici, raccolti attorno ad una serie di temi: Public, Systems, Transparent, Legible, Urban, Lightweight, Green. Il risultato è una mostra dinamica, interattiva e divertente, anche per i non addetti ai lavori.

La prima ad essere proposta è la Zip Up House (1968-71), una casa prefabbricata a forma di parallelepipedo, veloce da assemblare con muri realizzati con pannelli comunemente utilizzati per i camion-frigo (e quindi già prodotti per il grande mercato) e con le stesse finestre a prova di spiffero normalmente destinate agli autobus.
Richard Rogers e la moglie Su volevano ottenere una casa che potesse essere modificata facilmente e che potesse adattarsi, con tempi e costi minimi, alle mutevoli esigenze dei suoi abitanti. Data l’abolizione di muri fissi in favore di pannelli mobili, la casa poteva essere acquistata in kit, con la possibilità di aggiungere moduli ai preesistenti. Oltre ad essere innovativo e funzionale, questo progetto rinnova il dialogo tra uomo e ambiente poiché, non avendo la Zip House bisogno di fondamenta ma poggiando su sostegni di ferro, poteva essere costruita nel posticino dei sogni di ciascuno.


Alla fine degli anni Sessanta inizia con Renzo Piano inizia una collaborazione che porterà alla fondazione di uno studio ”Piano & Rogers” e alla costruzione di quello che è stato definito il manifesto dell’architettura high-tech, il Centre Georges Pompidou a Parigi [nella mostra alla sezione Public]. Nato ex-novo sul sito di un parcheggio, il Centre intendeva riqualificare una zona poco vissuta della città ponendosi come un’istituzione culturale innovativa, dedicata all’arte moderna ma ospitante una videoteca e una biblioteca di musica, design e cinema.

Nell’area della mostra chiamata Lightweight viene esposto il progetto di un’altra opera colossale divenuta un simbolo di un’altra capitale: il Millennium Dome a Londra. Con questo progetto, Rogers non intendeva costruire un edificio che fosse per sempre ma quasi piegando il suo progetto alla mobilità e alla “temporaneità” della vita nel terzo millennio, ha realizzato il suo Dome pensando alla leggerezza, all’economia e alla velocità di costruzione, garantendone la sopravvivenza per soli 25 anni. La monumentale resistenza nel tempo diventa obsoleta mentre la grandiosità a poco prezzo prende le vesti, anche in architettura, dei tempi accorciati e precari del capitalismo di oggi.



Not to miss: lo Shangai Masterplan, progettato per un concorso per la riqualificazione della zona Lu Jia Zui di Shangai e presente al Design Museum come un modellino le cui differenzi aree si illuminanto seguendo il movimento del sole. Nelle ore mattutine si colorano gli uffici, nel pomeriggio i negozi, poi i parchi, la sera i ristoranti e la notte le abitazioni, il tutto in pieno rispetto di ambiente e sostenibilità. Non si vede la malavita..


Quando
dal 24 aprile al 25 agosto 2008

Dove
Design Museum
London

Admission
£10

THE AMERICAN SCENE
fino al 7 settembre 2008

British Museum


L’aria di cambiamenti sociali, politici e culturali che ha percorso l'America del Novecento si lascia respirare e rivivere attraverso le stampe dei maggiori incisori americani del secolo, cominciando da John Sloan e l'Ashcan School di New York e terminando con l'espressionismo astratto di Jackson Pollock.
E’ il realismo urbano di Sloan ad aprire la mostra con una serie di stampe su una New York dimenticata, di quando nei finesettimana i tetti dei grattacieli si affollavano di inquilini che, distesi su teli e lenzuola, prendevano il sole (Sunbathes on the Roof; Roofs, Summer Night, 1906).

Gli edifici comuni, quelli che non si degnano di uno sguardo sulla strada per il lavoro, diventano il soggetto di tante stampe di Lawrence Kaupferman. Il ribaltamento della prospettiva è curioso. I caseggiati e gli edifici ignorati giorno dopo giorno diventano i protagonisti delle stampe di Kaupferman riacquistando la solida solennità di quanto era già lì prima che nascessi e ci sarà ancora quando avrai terminato il tuo tempo sulla terra. Le presenze umane sono rare nei suoi lavori e, ai margini della scena, non sono mai nulla più che comparse (Boston Street).


Le incisioni di Edward Hopper e Martin Lewis offrono un punto di vista diverso ancora e vogliono ricreare il filo di tensione che avvolge i soggetti un attimo prima o un attimo dopo il verificarsi di un evento. L’introspezione psicologica, il turbamento, sono resi attraverso un sapiente utilizzo della luce e dei contrasti tra zone di completa oscurità e altre fortemente illuminate. (M. Lewis, Little Penthouse, 1931)


E poi il modernismo, la Depressione, l'industrializzazione, la Seconda Guerra Mondiale. Un ciclone sull’America. Sempre più persone abbandonano le grandi città per trovare sostentamento nelle campagne. Thomas Hart Bentos, maestro di Jackson Pollock, documenta questo momento mettendo la propria arte al servizio di importanti questioni sociali. La disoccupazione in crescita vertigionosa, i braccianti che dopo aver compiuto tragitti di miglia e miglia in cerca di lavoro cadevano stremati, nelle gelide notti, nei campi, senza alcun riparo.

Adolf Dehn offre un’immagine dell’America degli anni Trenta diversa ancora. E’ un’America, che suona Jazz e che balla e si scatena nei locali di Haarlem. Coppie di colore si ritrovano nei locali dove si suona questo nuovo genere musicale che porta in se lontane eco di una terra lontana, la malinconia per il duro quotidiano ma anche la sorridente leggerezza di una danza a ginocchia piegate, come in The Swing dance bands.

not to miss: il tocco glamour di Martin Lewis che immortala una mattina in una delle strade principali di Londra, probabilmente Oxford Street in cui, illuminate dal sole nascente, un piccolo esercito di donne elegantissime nei loro cappotti dai colli di pelliccia cammina velocemente verso i department store dove lavorano. (Quarter of Nine, Saturday’s children, 1929).


Quando
fino al 7 settembre 2008

Dove
British Museum
London

Admission
Free

KEW GARDENS
Kew
London



"Giardino botanico" ha un suono davvero poco accattivante, almeno per le mie orecchie. E alla fine un po' per via del mio scarso pollice verde un po' per il tempo inclemente, per settimane ho soffiato via il pensiero di Kew Gardens ogni volta che faceva capolino nella mia mente.


Poi ho vinto l’inerzia, ci sono andata, e ora non vedo l'ora di tornarci. Perchè Kew è un mondo a parte, a cui si accede con un biglietto e in cui si sta a tempo contato, ma rimane un meraviglioso mondo parallelo, fatto di sconfinati giardini all'inglese con erba tanto corta quanto folta e soffice, e aiuole fiorite in ogni dove.

Kew è un paradiso di 121 ettari con laghetti, cigni, scoiattoli e 7 templi in vetro (alcuni le chiamano "serre", ma il termine è assolutamente riduttivo) che ricostruiscono microclimi adatti ad ospitare flore lontane.

La Temperate House (4,880 mq.) e' la più grande struttura di vetro sopravvissuta dal periodo vittoriano. In ferro dipinto di bianco e vetro si sviluppa su due piani, con un camminamento sopraelevato che permette una insolita visione dall'alto. Qui crescono piante anche enormi, provenienti dall'America centrale (fuchsie e brugmansie ad esempio), dall'Australia e piante a rischio di estinzione, come Hibiscus iliiflorus da Rodrigues Island e Trochetiopsis erthroxylon da Sant'Elena, in attesa di essere reinserite nel loro ambiente d'origine. Orgoglio della Temperate House è la Wine palm, proveniente dal Cile che, con i suoi 16mt, è la più grande pianta cresciuta in serra- e pare non abbia alcuna intenzione di fermarsi!

Un’altra meraviglia è la Waterlily House, realizzata nel 1852 da Richard Turner, contiene una grande vasca d'acqua con diverse specie di ninfee, da quelle europee, di Monet, a quelle più grandi provenienti dall'Amazzonia. Queste sono eccezionali, raggiungono il metro di diametro e sono abbastanza robuste da sopportare il peso di un bambino!.

I giardini botanici di Kew offrono al visitatore un assaggio della straordinaria biodiversità esistente in natura in un contesto di bellezza artificiale, ma mai fastidiosa. Ogni serra, ogni zona del giardino incanta sia gli specialisti del settore che le famiglie in uscita domenicale, anzi sembra fatta proprio per i bambini la serra chiamata The Evolution House dove, in un ambiente che ospita piante preistoriche (felci ed equiseti) e' stato inserito un vulcano che sbuffa con tanto di impronte di dinosauri e capanne in legno.

Camminando tra i giardini di azalee e di rose si incontrano altri padiglioni in cui si succedono mostre, esposizioni ed eventi culturali. A fine aprile si è conclusa la Shirley Sherwood Gallery of Botanical Art, la prima mostra al mondo dedicata esclusivamente al disegno botanico in cui, accanto alla collezione privata dei Sherwood, era stata esposta per la prima volta la collezione dei Royal Botanic Gardens di Kew, stimata come una delle maggiori del mondo di arte botanica.


Not to miss:
Amorphophallus titanum
, pianta erbacea originaria dell'isola di Sumatra, conosciuta per avere la più grande infiorescenza del mondo vegetale. Nonostante il forte odore di putrefazione che emana durante i pochi giorni di fioritura, folle di curiosi accorrono a Kew per ammirare questo fenomeno che si verifica solo ogni tre-quattro anni.


Quando
tutti i giorni
estate 9.30-19.30
inverno 9.30-18.00
Dove
Kew Gardens
London

Admission
adulti £13
gratuito per giovani fino a 17 accompagnati da un adulto